Capire come fare belle foto è qualcosa a cui tutti aspiriamo.
Spesso non siamo soddisfatti dei nostri scatti : non solo non ci piacciono quando li riguardiamo ma ci chiediamo anche perché abbiamo deciso di fare la foto proprio in quel preciso momento.
La lettura di questo post ti aiuterà ad evitare di scattare fotografie inutili e a capire quali sono i veri valori che devono essere compresi in una buona foto.
Il bello è che non ci sarà nulla di tecnico da imparare, ma faremo un percorso insieme all’interno della comunicazione e del vero significato della fotografia.
Spesso le cose sono più semplici di quello che sembrano e basta correggere di poco la nostra rotta per scoprire nuovi orizzonti che altrimenti non avremmo visto mai.
Nostro compagno di viaggio sarà Roland Barthes, l’autore de “La camera chiara” da cui trarremo spunti per una serie di interessanti considerazioni.
Sei pronto?
Partiamo…
Perché è importante iniziare a fare foto più belle
Ammettiamolo : i motivi per cui ci piacerebbe capire come fare più belle sono legati al concetto di competizione.
Oggi più che mai siamo i concorrenti di una gara in cui ci viene richiesto di continuo di far vedere cosa siamo in grado di fare.
Avere più like su Instagram, raccogliere maggior consensi nei commenti su Facebook oppure essere selezionati in qualche contest online sono solo una parte dei modi in cui ci immaginiamo di poter impiegare la capacità di fare foto più belle.
Ma oggi ti voglio far considerare la questione da un’altra prospettiva.
Invece di imparare a fare foto più belle per confrontarle con quelle degli altri, perché non decidiamo di darci il traguardo di fare fotografie migliori rispetto a quelle che siamo già in grado di fare?
Il vantaggio di questo cambio di punto di vista è che ti permetterà di vincere sempre perché non esistono limiti al tuo miglioramento. Se invece ti confronti con gli altri il limite è rappresentato dalla qualità delle foto con cui scegli di entrare in competizione.
E visto che in giro di foto non buone se ne vedono parecchie, il rischio di non fare bene è davvero alto.
Essere migliori della mediocrità non ti garantisce l’eccellenza : al contrario, il miglioramento rispetto a come eri ieri non ha limiti di crescita.
Vediamo più nel dettaglio quali aspetti vanno considerati per raggiungere questi risultati.
Come fare foto più belle
Uno studio di Keypoint Intelligence afferma che nel 2020 verranno scattate circa 1,4 bilioni di foto.
Per dirlo in un altro modo, tra fotografie fatte con smartphone, macchine digitali e tablet verranno scattate circa 44.000 foto al secondo. E la tendenza di questo fenomeno pare essere in crescita:
Per capire come fare fato più belle è necessario individuare in questo sterminato oceano di immagini quali sono gli aspetti che rendono davvero interessante una fotografia.
Ma uno scenario così variegato è difficile da catalogare. Come al solito, quando ci si trova davanti a qualcosa di molto complesso, la scelta migliore è quella di semplificare.
E il miglior modo per incominciare un procedimento di semplificazione è cercare di andare alle radici di quello che vogliamo esaminare.
Roland Barthes era un semiologo e non ha mai scattato una foto in vita sua : eppure il suo libro “La camera chiara” rappresenta un testo fondamentale della fotografia.
Perché? Proprio per i motivi che interessano a noi.
Già nella prima pagina de “La camera chiara”, Barthes scrive:
Nei confronti della Fotografia, ero colto da un desiderio “ontologico”: volevo sapere ad ogni costo cos’era “in sé”, attraverso quale caratteristica essenziale essa di distingueva dalla comunità delle immagini.
Barthes voleva capire quali fossero le caratteristiche della Fotografia in quanto linguaggio di comunicazione e allo stesso tempo quale fosse il suo rapporto con le altre altre arti figurative.
Conoscere i modi in cui la fotografia diventa linguaggio ci permetterà di arrivare a definire le caratteristiche significative di una fotografia e capire dov’è il vero valore di un’immagine fotografica.
Il limite di farsi rapire da quello che “è stato”
Barthes riconosce subito nella Fotografia una caratteristica che le altre arti figurative non possiedono : una foto è una prova che tutto quello che è compreso nell’inquadratura si sia effettivamente trovato nel posto in cui viene raffigurato.
L’autore definisce questo aspetto come l’ “è stato”.
Il soggetto di un quadro non è necessariamente esistito e la sue forme sono generate dalla fantasia del pittore.
E fin da subito ci troviamo di fronte ad una considerazione importante.
Infatti, il motivo per cui scattiamo la maggior parte delle nostre foto è dimostrare l’appartenenza a un fatto.
Il selfie, attività del nostro tempo, è una prova di essere stati con qualcuno o in un determinato posto.
Non ha l’ambizione di voler essere una bella foto.
Ma anche tutte le foto fatte ai piatti al ristorante, o ai monumenti quando andiamo a visitare Firenze o Venezia, le facciamo perché potranno rappresentare la dimostrazione di essere stati lì. Sono delle “autocartoline”.
Ti riporto a questo proposito un estratto di “L’avventura di un fotografo”, un racconto di Italo Calvino (che chiaramente ti consiglio di leggere nella sua versione integrale) :
Con la primavera, a centinaia di migliaia, i cittadini escono la domenica con l’astuccio a tracolla. E si fotografano. Tornano contenti come cacciatori dal carniere ricolmo, passano i giorni aspettando con dolce ansia di vedere le foto sviluppate […], e solo quando hanno le foto sotto gli occhi sembrano prendere tangibile possesso della giornata trascorsa, solo allora quel torrente alpino, quella mossa del bambino col secchiello, quel riflesso di sole sulle gambe della moglie acquistano l’irrevocabilità di ciò che è stato e non può esser più messo in dubbio. Il resto anneghi pure nell’ombra insicura del ricordo. […]
Il passo tra la realtà che viene fotografata in quanto ci appare bella e la realtà che ci appare bella in quanto è stata fotografata, è brevissimo.
Italo Calvino da “L’avventura di un fotografo”
Stiamo dicendo che già nelle nostre intenzioni spesso manca la volontà di realizzare una bella fotografia.
La maggior parte di quel numero enorme di fotografie che vengono realizzate non vuole essere una bella foto, ma fare altro.
Segnamoci questo fatto e andiamo avanti.
Alle radici del linguaggio
Prima di analizzare la fotografia come linguaggio fotografico, vediamo come è fatto in generale un sistema di comunicazione.
Tutte le forme di comunicazione sono caratterizzate dalla presenza di un emittente e di un destinatario.
L’emittente è colui che prepara l’informazione e la trasmette; il destinatario è rappresentato da chi riceverà l’informazione.
Affinchè ci possa essere questo scambio informativo è necessario che un insieme di segni siano organizzati attraverso un codice. Ecco uno schema riassuntivo :
Adesso facciamo un passo in avanti.
Il messaggio, che è alla base della comunicazione, rappresenta l’oggetto dello scambio di informazioni che avviene tra emittente e destinatario. Un messaggio si esprime attraverso un insieme di segni.
La Semiologia è la scienza che studia i segni, dove per segno si intende “qualcosa che rinvia a qualcos’altro”. Quello che ci interessa capire sono le relazioni con cui il segno si lega a quello che non c’è, cioè al suo significato convenzionale.
Quindi il segno è lo strumento di base che invia le informazioni che formano il messaggio.
Il codice è l’insieme delle regole che organizzano i segni in un sistema di comunicazione.
Un esempio semplice di un sistema di segni e del suo codice, è rappresentato dal funzionamento del semaforo :
Ad ogni colore del semaforo (segno) corrisponde una regola che riusciamo a comprendere in quanto ogni segno è costituito da due elementi :
- il significante : è la parte costitutiva del segno che viene registrata dagli organi di senso. Nel nostro caso sono i colori accesi del semaforo;
- il significato : è la parte mentale del segno, quella che si comprende in virtù delle regole del codice esistente.
Vediamo le corrispondenze tra significante e significato esistenti nel codice semaforico :
Significante ==> Significato
rosso ==> fermarsi
giallo ==> rallentare
verde ==> via libera
In questo caso la struttura fisica del semaforo rappresenta l’emittente, che organizza l’informazione e la trasmette. I destinatari siamo noi automobilisti.
La fotografia come codice visivo
Abbiamo visto quali sono le parti costitutive di un generico linguaggio.
Adesso applichiamo questi concetti alla fotografia ed individuiamo quali siano le parti costituenti del linguaggio fotografico.
E in questo ci torna in aiuto il nostro Roland Barthes.
Abbiamo visto che perché ci sia comunicazione c’è bisogno di :
- un emittente, che prepara l’informazione e la trasmette : nella Fotografia l’emittente è il fotografo. Barthes aveva identificato questa funzione con il nome di “Operator”;
- un destinatario, che riceve e interpreta l’informazione : nel nostro caso è chi guarderà la foto, che Barthes individuava col nome di “Spectator”;
- un insieme di segni organizzati in un codice, che rappresentano l’oggetto della foto, tutto quello che l’Operator ha deciso di comprendere nell’inquadratura. Roland Barthes identificava questa parte come “Spectrum”.
Nel caso del semaforo lo Spectrum era costituito da 3 possibilità : rosso, giallo e verde.
L’inventario dei segni a disposizione della fotografia è costituito da tutto quello che un fotografo decide di comprendere nella sua inquadratura sul mondo.
Lo “Spectrum” possiede quindi infinite possibilità di rappresentazione.
Ma c’è di più.
Abbiamo visto prima che ad ognuno dei tre significanti del codice semaforico (rosso, giallo, verde) corrisponde un solo significante (fermarsi, rallentare, via libera).
Tutti i codici per cui esiste una sola corrispondenza tra significante e significato dei segni che lo costituiscono si definiscono biunivoci. Questi codici sono rigidi e imperativi. Come quello del semaforo.
La fotografia è un tipo di codice per cui ad ogni significante possono corrispondere più significati: codici di questo tipo si definiscono equivoci. Questi codici sono aperti e creativi.
Tutte le immagini presenti all’interno di una fotografia possono generare nello Spectator significati diversi. E la stessa immagine può assumere valori diversi in funzione di chi la sta osservando.
Ma quando inquadriamo una scena che abbiamo deciso di fotografare, siamo sempre consapevoli di tutti questi aspetti?
Riusciamo sempre ad assegnare un significato alle immagini?
In funzione delle “intenzioni allo scatto” del fotografo, esistono diversi livelli di significato a cui una fotografia può arrivare.
Cosa ci attrae in una bella fotografia
Oltre a definire le 3 funzioni che costituiscono la Fotografia, Barthes ha descritto ne “La camera chiara” anche il tipo di interesse emotivo che una fotografia riesce a generare.
Lui definisce “Studium” un interessamento verso la foto di tipo “medio”, che non produce nello Spectator sentimenti particolarmente intensi ma solo una svagata forma di coinvolgimento.
Ad esempio, io posso riconoscere in una foto una certa ambientazione storica perché culturalmente la riconosco. La “cultura” riconcilia le intenzioni dell’ Operator con quelle dello Spectator, può giustificare una foto ma questo non la rende per forza di cose particolarmente interessante.
Citando direttamente “La camera chiara” :
Lo Studium è il vastissimo campo del desiderio noncurante, dell’interesse diverso, del gusto incoerente : mi piace / non mi piace, I like / I don’t. Lo Studium appartiene all’ordine del to like, e non del to love; esso mobilita un semi-desiderio, un semi-volere; è lo stesso genere d’interesse svagato, piano, irresponsabile, che mostriamo per certe persone, certi spettacoli, certi vestiti, certi libri, che definiamo “buoni”.
Lo Studium investe la fotografia di funzioni : informare, rappresentare, sorprendere, far significare, allettare.
Io che guardo la foto le riconosco con più o meno piacere e investo il mio Studium, ma non ne trarrò mai una vera forma di godimento.
Si potrebbe definire questo un secondo livello di significatività che una foto può raggiungere, superato quello della semplice dimostrazione del “è stato”.
Qualcosa di appena più significativo, ma non ancora il massimo di quello che si può ottenere.
Oltre questi due livelli c’è il consapevole utilizzo della fotografia come mezzo espressivo : dare ai segni che fanno parte dell’inquadratura un significato in funzione del codice fotografico, che fa della sua apertura uno straordinario strumento espressivo.
Chiameremo questo livello quello del Significato fotografico.
“è stato” ==> Studium ==> Significato fotografico
Le belle foto, quelle che stiamo cercando di capire come sono fatte, possiedono prima di tutto un messaggio; quelle davvero buone hanno anche il fascino dell’incertezza comunicativa.
I segni suggeriscono un significato e lasciano a chi le guarda tutta la libertà di andare verso infiniti spazi e direzioni.
La fotografia è un giusto equilibrio tra luce e buio, tra quello che c’è da vedere e quello che non deve essere visto.
Se dovessi suddividere in percentuale quel 1,4 Billioni di fotografie scattate nell’arco di 12 mesi nei 3 livelli che abbiamo appena descritto, credo che la ripartizione sarebbe più o meno questa :
La facilità con cui si produce non corrisponde sempre all’esistenza di contenuti da comunicare.
Questo vuol dire che il 75% delle foto sarebbero state scattate solo perché volevamo dire : “Ehi guarda dov’ero!” e gridare al mondo intero che c’eravamo anche noi, che noi non siamo quelli che restano fuori. Capacità di attrazione : pari allo zero.
Il 23% delle fotografie avrebbero avuto una costruzione un po’ più pensata : la volontà di essere rappresentative di un evento oppure l’intento di sorprendere lo Spectator con qualche trovata. Il nostro interesse nei loro confronti si limita al riconoscimento di qualcosa, ma dura poco e non si può dire che suscitino dei veri e propri sentimenti.
Il 2% sono le fotografie che stiamo cercando di definire : un significato che nasce dalla bellezza formale e dal riconoscimento di schemi di armonia profondi e radicati in noi, che noi ci sappiamo spiegare ma che ci travolgono e ci fanno fermare a pensare.
Considerare le immagini in un modo nuovo
Per fare in modo che le tue foto entrino a far parte di quel 2% è necessario iniziare a pensare in modo durante le tue inquadrature.
Tutto deve essere visto nella prospettiva di trasferire un messaggio attraverso i segni che abbiamo a disposizione. Ad ognuno di quei segni deve essere assegnato un significato.
Abbiamo visto che l’esistenza di un codice assegna un significato ad un significante e che i significanti del linguaggio fotografico sono le immagini che costituiscono la nostra inquadratura.
Succede che quello che inquadro in una fotografia possa avere un significante che deriva da un codice diverso da quello fotografico : questi codici diversi hanno già dato un nome a quello che stiamo inquadrando.
Per realizzare il vero linguaggio fotografico dobbiamo dimenticare il nome delle cose e considerarle solo in funzione dei loro rapporti formali. Ricorda che stiamo parlando di segni visivi, di immagini a cui se assegni un nome stai già assegnando un significato.
Un altro errore da non commettere è quello di riconoscere quelle che sono le tue suggestioni extrafotografiche durante lo scatto.
Immagina di trovarti con i tuoi amici, in un momento di particolare benessere e spensieratezza. Magari su una spiaggia, a parlare e a ridere al tramonto, con un bel vento che rinfresca la giornata torrida che volge al termine e un paesaggio attorno da cartolina.
L’istinto di noi che siamo in grado di scattare foto con estrema facilità è quello di prendere il nostro smartphone e fare click.
Ma allora avrai solo immortalato l’”è stato” : tu c’eri su quella spiaggia, con quel bel tramonto a fare da sfondo. Niente di più di una fotografia già vista e rivista ai più.
Maggior valore avrà rivedere quella foto tra qualche anno da parte delle persone che erano con te. Solo loro, attraverso lo Studium che condividete di quel momento, sono in grado di essere suggestionati da quel piacevole ricordo.
Ma una bella foto è quella attraverso cui tu sei riuscito a passare il messaggio della felicità di quel momento attraverso i segni universali delle forme : non basta essere stati felici al momento dello scatto per trasmettere felicità…
Quali strumenti abbiamo a disposizione per esprimere le nostre sensazioni?
- L’inquadratura, con cui selezioniamo i segni che daranno vita alla nostra comunicazione;
- la lunghezza focale : con cui decidiamo la prospettiva che avrà la nostra inquadratura;
- la luce : intesa come distribuzione di parti in ombra e parti illuminate sella scena, che assegna valori diversi ai vari segni presenti;
- la composizione, che assegna il senso formale all’inquadratura e sostituisce i nomi delle cose con nuovi significati.
Sono sicuro tu conoscessi già questi aspetti tecnici ma guardarli più da vicino come strumenti del linguaggio fotografico ti aiuterà ad utilizzarli meglio in futuro.
Conclusioni
Come vedi, prima di diventare un esperto di tecnica fotografica e di comprare la macchina fotografica migliore del mercato (che diventerà obsoleta nel giro di pochi mesi…), è importante fare considerazioni “più alte”.
Ripercorriamo insieme gli argomenti di questo post. Abbiamo visto:
- quali sono le parti fondamentali di un sistema di comunicazione;
- come avviene la comunicazione fotografica;
- quali sono i livelli di significato di una foto;
- gli strumenti del linguaggio fotografico.
E tu, credi che da domani scatterai qualche foto in meno prestando però più attenzione agli aspetti importanti del linguaggio fotografico?
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