Oggi la nostra attenzione è sempre più rivolta verso un gran numero di attività.
Abbiamo sempre molto da fare, non riusciamo a dedicare a noi stessi il tempo che meriteremmo e ci facciamo spesso distrarre da cose di scarsa importanza…
In questo post ti voglio far conoscere un nuovo modo di intendere le cose, semplice da applicare e per questo molto potente.
Solo le persone che decidono di seguire nuove strade possono vivere la meraviglia della scoperta e vorrei iniziare questo percorso insieme a te.
E lo faremo partendo da una cosa che sappiamo fare, lo faremo partendo dalla fotografia.
Studiosi affermati, che si sono occupati di psicologia positiva, hanno dimostrato che la condizione per vivere a pieno la vita è quella di dedicarsi con costanza di attenzione e motivazione ad una singola attività.
Perché non scegliere proprio la fotografia per esercitarsi in questa nuova pratica?
Leggi la storia che ti sto per raccontare, ascolta cosa ha da raccontarti un grande psicologo e inizia ad assaporare il gusto della felicità.
Sei pronto?
Cominciamo…
Il fotografo più pigro della storia
Lascia che ti dica una cosa : non esiste al mondo una persona più pigra di me.
E come tutte le persone pigre, quando c’è da fare qualcosa che prevede fatica, tendo ad evitarla.
E cosa prevede più fatica, mentale soprattutto, di imparare qualcosa di nuovo?
La prima reazione a mio padre che nel lontano 1992 voleva iscrivermi ad un corso di fotografia era stata, appunto, un secco rifiuto.
“Devi imparare a fare foto più belle, così non butteremo i soldi in rullini!” diceva. A quel tempo in effetti sbagliare qualche scatto non era proprio gratis, portava via tempo e denaro.
Colpito nell’orgoglio, decisi di iniziare quella nuova avventura fatta di lezioni da seguire, orari da rispettare, concetti da capire…
Un corso di fotografia “vecchio stile”
Il corso si svolgeva nel retro di un laboratorio fotografico, in una piccola stanza adibita all’occorrenza con due lunghe file di panche in legno che l’attraversavano da parte a parte.
Per tre mesi, avevamo appuntamento alle 6 di sera, per un’ora, tre volte a settimana. L’interferenza di quelle lezioni nei ritmi della mia vita ricordo che mi pesò non poco.
L’insegnante fumava una sigaretta dopo l’altra, arrivando a tirare fin quasi al filtro : non era una cattiva persona, cercava di conquistare la nostra simpatia con battute grossolane ma aveva un metodo davvero poco coinvolgente.
Ci insegnava la tecnica fotografica attraverso delle slides, noi avremmo dovuto prendere appunti e poi, non so come, essere in grado di applicare le nozioni che imparavamo.
Mai una prova pratica, un confronto o la verifica delle cose viste in aula.
In occasione di una delle ultime lezioni del corso , un’iniziativa che aveva l’intenzione di recuperare la mancanza della parte applicativa : la nostra ora, anziché spenderla in aula, l’avremmo dedicata a fare foto in giro per la città. Quasi mi vergognavo ad andare in giro a fotografare palazzi, semafori e cose che altrimenti non avrei fotografato mai.
Dopo una settimana (il tempo di far sviluppare a tutti le foto), l’ ultima lezione di discussione dei lavori fatti, giudizi buoni per tutti e chi si è visto si è visto.
Il mio giudizio finale sulla fotografia
Il corso avrebbe dovuto insegnarmi a fare belle foto ma, al contrario, mi allontanò dalla fotografia per un bel periodo.
Mi ero detto : “Se questo è un approccio serio alla fotografia, allora non fa per me”.
Come capita spesso quando si è giovani si giunge in fretta a conclusioni sbagliate; non avevo messo in conto che si sarebbe potuto trattare solo di un corso di fotografia fatto male.
Per me tutta la fotografia del mondo era fatta così.
Punto.
(Dopo molto tempo mi sono accorto che esistono metodi più efficaci per imparare la fotografia).
Fatto sta che per anni non ho fatto più foto : negli anni 90 fare foto significava farlo deliberatamente. Dovevi scegliere di portarti dietro la macchina fotografica e per tanto tempo è stato qualcosa che non ho più avuto voglia di fare.
Ma poi è successo qualcosa che mi ha fatto letteralmente iniziare ad amare “il gesto” di scattare fotografie.
Vuoi sapere cosa? Seguimi che te lo racconto…
Quando ho cominciato a fare foto più belle
L’occasione che ha cambiato il mio rapporto con la fotografia è stata una festa, a Torino, durante i primi anni di università, ultimi scampoli dello scorso millennio.
Eravamo in una casa di ragazzi spagnoli in Erasmus , capitati lì, come al solito, perché eravamo amici di alcuni amici che probabilmente conoscevano amici dei padroni di casa. Praticamente ad un passo dal poter essere definiti imbucati ma in quei posti tutti erano benvenuti.
Era una di quelle occasioni di socialità improvvisata e selvaggia che, col passar del tempo, fai fatica a concederti ancora. Perché inizi a non concepire più di entrare in un posto in cui non conosci, se non proprio i nomi, almeno la classe di appartenenza al genere umano dei presenti. E’ la diffidenza sociale, che si matura con l’età.
A vent’anni, al contrario, hai fame di scoprire classi di appartenenza ancora ignote e da loro farsi raccontare qualcosa che non sai, fumarci insieme e poi decidere se proseguire o meno. Forse l’entità di quella fame rappresenta la misura del tuo livello di civiltà.
In quella casa c’era tanta gente e in ogni stanza sbuffi di fumo sospesi nell’aria come lampadari, musica alta e vino in bicchieri di carta. Era una casa antica nel cuore di Torino con le stanze collegate le une alle altre da grosse porte in legno, senza corridoi.
Un incontro importante
Ad un certo punto della serata mi ritrovai in cucina, dove il volume della musica concedeva una tregua e la nuvola di fumo galleggiante era quasi liquida. Osservai per un po’ un gruppo di ragazzi che non conoscevo : dovevano essere degli appassionati di cinema perché di tanto in tanto si divertivano ad inserire nella conversazione battute di qualche film lasciandole a metà, sfidando gli altri a recitarne il finale.
Citazioni cinematografiche : pane per i miei denti.
Si iniziò a parlare di sesso : posizioni preferite, i posti più strani, le volte migliori e una biondina fu molto brava ad imitare la scena della simulazione dell’orgasmo di Meg Ryan in “Harry, ti presento Sally”.
Un ragazzo, all’improvviso, imitando una voce di donna disse : “Bè, io finalmente ebbi un orgasmo e il mio medico mi disse che era di tipo sbagliato”.
Silenzio.
Questa nessuno sembrava saperla.
Era decisamente il mio momento, l’occasione per entrare in un nuovo gruppo con un colpo di scena.
Sospirai e dissi: “Di tipo sbagliato? Io mai avuti di tipo sbagliato. Coi peggiori faccio crollare i lampadari”.
Il ragazzo venne verso di me e mi afferrò un braccio alzandolo al cielo in segno di vittoria : fu così che conobbi Enrico, praticamente grazie a Woody Allen.

Apparteneva ad una classe di genere umano che volevo scoprire, di sicuro non era la mia ma non avevo ancora capito bene quale fosse.
I ricordi si sfilacciano e non riesco a mettere in fila i fatti che ad un certo punto fecero si che ci ritrovassimo a casa sua, insieme a 2 dei miei amici e una sua amica.
Era un ultimo piano coi soffitti mansardati, tutto un unico ambiente ad eccezione del bagno. Era notte fonda e l’unica luce che svelava quella grande stanza proveniva da una lampadina rossa che lasciava sfumare su uno sfondo nero i contorni delle cose. Un grande sbuffo di fumo ci aveva seguiti e galleggiava a mezz’aria anche lì.
La memoria si arrende a quello che facemmo prima di addormentarci.
Quando ho visto per la prima volta in faccia la felicità
Forse stavo sognando di cadere quando mi svegliai di soprassalto alle prime luci dell’alba. Vidi Enrico seduto ad un tavolo che tagliava qualcosa, con gesti lenti e fluidi muoveva le mani sul piano di quella scrivania, teso e concentrato.
Enrico apparteneva alla classe del genere umano di quelli che dormono poco. Io no. Mi riaddormentai.
Al mio risveglio il sole allagava la stanza che adesso mi sembrava più piccola rispetto alla versione buia della notte precedente. La mattina era alta e mi sentivo abbastanza rigenerato da quel sonno consumato tutto rannicchiato su una poltrona di velluto.
Enrico era ancora lì, ancora intento e concentrato, ancora alle prese con forbici e ritagli di cui si prendeva cura.
C’era qualcosa che invidiavo nell’intensità che esprimeva.
Me l’ero sempre immaginata così la concentrazione di Sartre mentre scrive al Cafè de Flor, Picasso che abbozza le tele nel suo studio, i Papi che studiano teologia nelle stanze segrete del vaticano.
E mi accorgevo che era una delle aspirazioni più importanti della mia vita : concentrarsi per creare qualcosa, fare in modo che tutto dal di fuori fosse favorevole a quella condizione. Percepivo che era un qualcosa che aveva a che fare con uno stato di pieno benessere.
Dalla mia posizione non riuscivo a vedere quale fosse l’oggetto dell’attenzione di Enrico ma a questo punto la curiosità era troppa e allora mi alzai e mi avvicinai a quel tavolo.
Non dissi che un timido buongiorno perché sapevo di disturbare.
Lui infatti rispose distratto, senza staccare lo sguardo da quelle fotografie.
Da diverse ore per Enrico non esisteva altro che catalogare foto ed unirle ai loro negativi. Ma c’era dell’altro : scriveva qualcosa su delle strisce di carta, ricopiando da un taccuino Moleskine e andando poi a posizionare quegli appunti vicino ad ogni fotografia.
Enrico apparteneva alla classe del genere umano di quelli che evitano di fare le cose che fanno tutti.
La fotografia digitale in quegli anni stava rendendo tutti fotografi e per distinguersi da quell’evento di massa e allo stesso tempo ribadire che lui le foto aveva iniziato a farle ben prima, Enrico scattava ancora in pellicola.
Quando andava in giro a fare foto segnava sul Moleskine per ogni scatto l’apertura del diaframma, la lunghezza focale e la pellicola utilizzata. Dopo lo sviluppo e la stampa, catalogava in un album le fotografie corredate a fianco degli appunti presi.
E poi le studiava : il confronto tra i parametri diversi delle foto di una stessa scena e i risultati ottenuti ha rappresentato la sua palestra.
Le relazioni tra impostazioni della macchina fotografica e risultati, Enrico le ha imparate in maniera inconsapevole scattando e riguardando centinaia di fotografie : esisteva un metodo alternativo a quelle slides, pensai.
E’ inutile dire che ricominciai a fare foto grazie a lui : anch’io facevo parte di quelli che evitano le cose che fanno tutti e quindi l’idea della pellicola non mi dispiaceva affatto.
Comprai una reflex usata (una magnifica NiKon F3), e per alcuni anni utilizzai il metodo di Enrico per imparare a fare foto.
Questo non solo mi ha reso un discreto fotografo ma mi ha regalato anche meravigliosi momenti : amavo il gesto di prendere appunti subito dopo lo scatto in sostituzione del chimping, cioè quella brutta dipendenza che hanno i fotografi digitali di riguardare subito nel display le foto appena scattate.
Ma soprattutto adoravo catalogare le foto, trascrivere i miei appunti: adoravo il modo che avevo imparato per imparare la fotografia.

Mi sentivo completamente appagato nel fare quelle cose e non sentivo il tempo passare.
Quello che mi capitava, ho scoperto poi, è un qualcosa di normale quando si è immersi in particolari condizioni.
Qualcuno, addirittura, parla di felicità.
Un nome impronunciabile e il concetto di felicità
Prova a dire : cics.
Adesso di : sent.
L’ultima parte è facile : mi hai (sì sì, come per dire : “mi hai rotto le scatole”).
Adesso tutto insieme : cics sent mi hai.
Bene : hai appena pronunciato Csikszentmihay (lo avessi scritto direttamente così, a meno che tu non abbia origini ungheresi, sarebbe stato più difficile).

Mihaly Csikszentmihalyi è uno psicologo di fama internazionale che durante la sua carriera si è occupato principalmente della psicologia positiva , dedicandosi a temi come la felicità e il benessere.
Aveva un obiettivo in particolare : capire in quali situazioni le persone avvertono maggior senso di benessere. Per dimostrarlo doveva basarsi su qualcosa di concreto.
Voleva mettere in relazione le sensazioni positive e le situazioni che le favorivano e capì che un esperimento sarebbe stato il modo migliore per farlo.
Per il suo esperimento aveva bisogno di :
- il più grande campionario possibile di situazioni;
- un gruppo nutrito di persone che sarebbero state protagoniste di quelle situazioni;
- un sistema per registrare i sentimenti provati in ognuna delle situazioni, da ognuna delle persone.
Capì in fretta che ogni tipo di ricostruzione non avrebbe portato ai risultati sperati: il palcoscenico del suo esperimento sarebbe dovuto essere la vita vera.
E così, diede ad ognuno dei partecipanti al suo esperimento un cercapersone e gli chiese di continuare a svolgere normalmente le loro vite.
Il cercapersone avrebbe suonato casualmente diverse volte durante la giornata e i partecipanti in quell’occasione avrebbero dovuto descrivere cosa stessero facendo e le sensazioni provate.
Il descrivere subito quello che si provava, senza il filtro del ricordo, rendeva l’esperimento molto accurato.
Questo metodo chiamato ESM – experience sampling method (metodo di campionamento dell’esperienza) – portò al seguente risultato :
I momenti migliori della nostra vita non sono tempi passivi, ricettivi, rilassanti… I momenti migliori di solito si verificano se il corpo e la mente di una persona sono spinti ai loro limiti nello sforzo volontario di realizzare qualcosa di difficile per cui ne valga la pena.
Alla luce di questo e di altri studi, Csikszentmihalyi introduce il concetto di flow, che corrisponde ad un particolare stato della nostra mente durante cui si realizza la cosiddetta esperienza ottimale.
Il tutto è legato ad un fatto molto semplice che provo a spiegarti : il nostro cervello ha una capacità finita di elaborare informazioni. La misura di questa capacità è 127 bit al secondo (non so farti capire bene a quanto corrisponda, ma è essenziale capire che esiste un limite alle cose a cui possiamo prestare attenzione in un determinato intervallo di tempo).
L’ esperienza ottimale (lo stato di flow) si ottiene quando tutta la nostra riserva di attenzione viene dedicata ad una sola attività.
Nessuna preoccupazione ha lo spazio per entrare, il tempo passa ma non abbiamo modo di sentirlo : nulla ci distrae.
La totale armonia con quello che si sta facendo non solo porta al godimento puro, ma offre la possibilità di accrescere le proprie capacità , mettendosi in gioco, testando e imparando nuove competenze, e la propria autostima (Csikszentmihalyi e LeFevre, 1989)
Non attraverso tutti i tipi di esperienze si può raggiungere lo stato di flow. Quelle a cui siamo mediamente esposti nell’era moderna, purtroppo, vanno nella direzione opposta.
La nostra riserva di attenzione è frammentata, continuamente richiamata ad iniziare qualcosa di nuovo, leggere un nuovo post, rispondere all’ennesima mail.
L’obiettivo preciso che tutti dovremmo avere è individuare quell’attività che coinvolge a pieno le nostre migliori capacità e, una volta trovata, tenercela stretta e focalizzare i nostri sforzi su di essa.
La fotografia potrebbe essere un’ottima occasione e il modo in cui funziona Picwalk riprende alcune caratteristiche dell’esperienza ottimale.
Le caratteristiche dell’esperienza ottimale
Partiamo da un presupposto fondamentale : la fotografia può rappresentare terreno fertile per un’esperienza ottimale. E’ un’attività che scegliamo di fare e, a meno che non rappresenti la nostra professione, possiamo organizzarla a nostro piacimento.
La storia che ti ho raccontato prima rappresenta la narrazione di come, attraverso l’esperienza delle foto in pellicola, il mio rapporto con la fotografia si sia trasformato in un’opportunità di benessere.
Mi piacerebbe che anche il tuo approccio alla fotografia, attraverso l’esperienza di Picwalk, si trasformi in un’esperienza di crescita e miglioramento. Alcune caratteristiche del nostro modo di gestire i contenuti del sito si rifanno infatti a due aspetti fondamentali dell’esperienza ottimale :
- Il bilanciamento tra sfida e capacità;
- la retroazione diretta e inequivocabile.
Ancora un po’ di pazienza e ti racconto tutto.
Bilanciamento tra sfida e capacità
Guarda questo grafico :
La condizione di Flow si realizza quando siamo alle prese con attività che siamo in grado di fare e che svolgiamo ad un livello tale da rinforzare le nostre abilità. Questo avviene perché la sfida a cui siamo sottoposti è appena oltre il nostro livello medio di capacità.
Sfide meno stimolanti ci annoierebbero e non ci farebbero crescere; al contrario, obiettivi troppo sfidanti ci provocherebbero ansia senza andare ad accrescere le nostre capacità.
In Picwalk una delle prime cose che facciamo è valutare il tuo livello attraverso il sistema di votazione delle foto, in cui i giudici siete voi utenti. Una volta capito qual è il tuo livello, creiamo la tua pagina personale con contenuti che sono in linea con quanto appena detto : non ti faremo annoiare e non ti faremo vedere cose per cui non sei ancora pronto.
Retroazione diretta e inequivocabile
Le attività che possono diventare oggetto dell’esperienza ottimale devono avere anche la caratteristica di restituirci subito un feedback delle nostre azioni. Altrimenti potrebbe nascere in noi, molto nel profondo, qualcosa che assomiglia alla frustrazione di non vedere gli effetti delle nostre azioni.
Ecco perché l’attività artigianale è quella che più di tutte si presta a regalarci stati di flow : l’effetto del lavoro è subito evidente sotto i nostri occhi e si traduce in una nuova forma, un nuovo colore, un nuovo oggetto, subito riconoscibili.
Nella nostra intenzione di accompagnarti durante il tuo percorso di crescita nel mondo della fotografia, in Picwalk abbiamo reso riconoscibili i tuoi progressi attraverso il sistema dei punteggi delle foto e degli utenti.
Ti ho incuriosito vero?
Ho pensato di fare un regalo a tutti quelli che oggi si iscrivono alla mailing list di Picwalk : la possibilità di registrazione gratuita al nostro sistema di valutazione delle foto, che riceverai tramite mail.
Ad oggi è ancora GRATIS ma potrebbe non esserlo per sempre.
Conclusioni
Amo il nostro tempo : le opportunità che ci da, lo stesso mio scrivere su questo blog rappresenta l’incarnazione del sogno del XXI secolo. Ma non si fanno grandi cose senza applicazione profonda.
E tutte le grandi cose della storia hanno un grande lavoro dietro, dalla scrittura della Divina Commedia alla nascita del web.
E l’applicarsi a questi lavori allena la parte migliore di noi e ci fa stare meglio, ma per come è disegnato il nostro tempo c’è il rischio di non riuscire ad entrare in questo circolo virtuoso.
La nostra attenzione è continuamente distratta : quei 127 bit sono divisi tra mille cose che non durano mai più di qualche minuto.
Vorrei che la pratica della fotografia così come è stata pensata su Picwalk diventi per te una palestra, non solo per iniziare a fare foto belle, ma anche per dedicarti con profondità alle cose che fai.
Vorrei che entrassi in confidenza con quello che Csikszentmihalyi definisce esperienza ottimale, e che ogni tanto qualcuno si sbilancia e chiama felicità.
Non credi, allora, che il titolo del post non sia poi così fuori luogo?
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