Ferdinando Scianna è un grande personaggio.
Oltre ad essere uno straordinario fotografo è, a mio parere, anche un bravissimo scrittore.
Quello che mi piace di più del personaggio Scianna è il modo in cui parla di fotografia.
Uno con la sua cultura, amico di Leonardo Sciascia fin da quando era ragazzo, poi amico fraterno di Henri Cartier-Bresson, il primo fotografo italiano ad essere stato ammesso alla Magnum: potrebbe a buon diritto guardarci tutti dall’alto mentre parla.
E invece no.
Il suo atteggiamento mi ricorda la descrizione che Jack Kerouac fa dei “Sotterranei” nell’incipit del suo romanzo omonimo :
… sono hip ma non esibizionisti, intelligenti ma senza pedanteria, intellettuali fin nelle dita dei piedi e sanno tutto-tutto su Pound eppure non la mettono dura e non si parlano addosso in continuazione, sono tranquilli e silenziosi come tanti Cristi.
Ecco spiegato il titolo di questo post, in cui voglio farti conoscere Ferdinando Scianna, uno dei grandi fotografi da cui ho tratto maggiore ispirazione.
Di solito, quando si scrive un articolo su un fotografo, si comincia dalla biografia per poi passare all’analisi delle opere.
Ma questa volta vorrei raccontarti le opere di Scianna mentre ti racconto le tappe della sua vita.
Anche perché, da scaramantico siciliano quale lui è, non vorrei che interpreti una sezione intitolata “La vita di Ferdinando Scianna” come una foto di Coglitore.
Ma quest’ultima frase la capirai tra un po’…
Sei pronto?
Cominciamo.
Ferdinando Scianna e gli inizi come fotografo (uno che ammazza i vivi e resuscita i morti)
Ferdinando Scianna nasce nel 1943 a Bagheria, Sicilia, provincia di Palermo.
I suoi genitori immaginavano per lui una carriera da “professionista” : volevano che diventasse un medico, un ingegnere o un avvocato. Ma lui non si sentiva tagliato per quel tipo di mestiere e ha da subito visto nella fotografia uno strumento di fuga da quel destino.
Il padre di Scianna rimase di stucco di fronte alle intenzioni del figlio di diventare fotografo, e ripeteva :
“Fotografo? Ma che mestiere è? Uno che ammazza i vivi e resuscita i morti”.
Questa frase ha una giustificazione storica ben precisa.
Quando lui era bambino esisteva a Bagheria un unico fotografo, che si chiamava Coglitore.
A quel tempo era frequente che molte persone anziane non avessero avuto l’occasione durante la propria vita di farsi fare un ritratto fotografico; capitava allora che i figli invitassero i genitori a farsene fare uno da Coglitore.
Dietro questa premura filiale si nascondeva la necessità pratica di avere una fotografia da mettere sulla tomba del genitore quando, da lì a cent’anni, questo fosse venuto a mancare.
Gli anziani quasi mai accettavano l’invito dei figli, un po’ perché ancora diffidenti della fotografia, un po’ perché sapevano benissimo quale sarebbe stata l’ultima destinazione di quel loro ritratto.
E così capitava spesso che Coglitore dovesse fare il ritratto da apporre sulla lapide alle persone quando erano già morte.
Ma era diventato così bravo a ritoccare il negativo in corrispondenza degli occhi per farli sembrare ancora aperti, che dopo ognuna di queste speciali resurrezioni fotografiche commentava orgoglioso: “Non pare vivo?”.
Il guaio era che aveva talmente sviluppato questa sua perizia a fotografare i morti che anche quando fotografava i vivi, questi sembravano morti…
Il fotografo : uno che ammazza i vivi e resuscita i morti.
Bel mestiere, pensava il padre di Scianna…




Con la fotografia ormai in testa, nel 1961 Ferdinando Scianna si iscrive a Lettere e Filosofia ma non terminerà mai gli studi.
Risale al 1963 la prima amicizia importante della sua vita, quella con Leonardo Sciascia.
Sarà forse questo legame con il grande scrittore siciliano a lasciare in Scianna quella propensione verso la forma scritta che lo accompagnerà per tutta la vita.
Secondo Scianna la destinazione naturale delle fotografie è quella di finire in un libro. E il suo primo libro lo ha pubblicato ad appena 21 anni.
In realtà, come si vede dalla copertina, è un libro attribuibile anche a Sciascia che ne scrisse i testi.
All’epoca della pubblicazione, era il 1965, fece scalpore per la visione laica con cui venivano rappresentate le feste religiose, sia dal punto di vista della rappresentazione fotografica di Scianna che dalle parti scritte di Sciascia.
Vincitore del premio Nadar, per Scianna questo libro ha rappresentato senza dubbio il primo trampolino di lancio verso il professionismo fotografico.












La fotografia come immagine ricevuta
Ferdinando Scianna si è sempre interrogato sul ruolo e sul significato della fotografia; anche da un punto di vista, mi si passi il termine alto, filosofico.
In un’intervista l’ho sentito evidenziare quali fossero le differenze tra la pittura e la fotografia e di come non sopportasse troppo il paragone.
Il tempo di un quadro è il tempo interno al pittore, che può decidere di ritrarre un evento che è già avvenuto nel passato.
La novità della fotografia è che non è soltanto una fetta di visibile, è anche una fetta di tempo.
E’ l’irrevocabilità dell’istante in cui è stata fatta la foto che la rende così tragica.
Continua poi dicendo che si può dire che un quadro venga fatto, perché la fetta di visibile che rappresenta viene letteralmente “creata” dal pittore. Una fotografia no : la creazione dell’immagine fisica è mestiere dell’apparecchio fotografico, il fotografo decide cosa andare a selezionare e cosa tenere fuori dal visibile rappresentato.
Le fotografie si ricevono, non si fanno.
Quindi è una maniera curiosa quella del fotografo di vivere solo nel presente, sapendo di costruire memorie.
Il ritratto a Leonardo Sciascia
Frà Diego La Matina era un frate di Racalmuto del 1600 condannato dall’inquisizione siciliana per una serie di reati tra cui brigantaggio, blasfemia e ingiuria.
La storia lo ricorda come un eroe rivoluzionario perché, tra i migliaia di detenuti condannati dall’inquisizione nelle carceri di tutto il mondo, fu l’unico che riuscì ad uccidere il suo inquisitore.
Leonardo Sciascia scrisse su di lui Morte dell’Inquisitore.
Durante il lavoro di ricerca storica su Diego La Matina, Sciascia chiese al suo giovane amico Ferdinando di accompagnarlo per fotografare nella chiesa di Racalmuto il certificato di nascita dell’eretico protagonista del suo libro.
Mentre Sciascia salutava il prete, Scianna aveva già riconquistato la navata centrale della chiesa dove due bambine formavano un’interessante figura di fronte a un Cristo.
Scianna volle fotografarle.
Con la coda dell’occhio si accorse che stava accadendo qualcosa : stava arrivando Sciascia e il suo percorso sarebbe entrato perfettamente nell’inquadratura.
Scianna aspetta il momento in cui si forma questo incrocio formale, istante in cui Sciascia guarda nell’obiettivo. C’è quindi il ritratto.




Lo scrittore siciliano si è trovato inserito all’interno di un sistema di forme che è anche un sistema di significati.
Ci sono le due bambine che rappresentano una determinata classe sociale, il Cristo che rappresenta l’apparato religioso e poi quelle forme barocche che in qualche modo sono la storia della Sicilia.
Ferdinando Scianna ha deciso di aspettare, perché aveva intuito che stava succedendo qualcosa.
Leonardo Sciascia ha guardato nell’obiettivo in modo casuale, ma proprio nel momento in cui completava quel sistema di forme.
E’ così ha consegnato alla storia quello che è definito il suo ritratto più emblematico.
Ferdinando Scianna a Parigi : l’amicizia con Henri Cartier-Bresson e l’ingresso in Magnum
Nel 1966 Ferdinando Scianna si trasferisce a Milano e inizia a lavorare per l’Europeo, di cui diventa il corrispondente da Parigi. Nella capitale francese vivrà per 10 anni.
Inizia anche a collaborare per alcuni giornali francesi come Le Monde Diplomatique e Quinzaune Litterarie. “Mi ritrovavo più a scrivere che a fotografare, ma sapevo di essere un fotografo che scrive” dirà Scianna di quegli anni.
Nel 1977 pubblica un libro che raccoglie le foto scattate in Sicilia fina a quel punto della sua vita, “Le Siciliens”. Questa pubblicazione lo fece conoscere anche a Henri Cartier-Bresson, che a partire da quegli anni diventerà suo grande a mio e punto di riferimento della sua carriera da fotografo.








“La luce in Sicilia è allo stesso tempo un destino e una maledizione”, dice Scianna.
Le sue immagini sono costruite a partire dalla struttura dell’ombra : lui è cresciuto cercando si evitare il sole infuocato della sua terra e vedendo il mondo in quei forti, drammatici contrasti.
Henri Cartier-Bresson proporrà nel 1982 la candidatura di Ferdinando Scianna per entrare a far parte dell’agenzia Magnum Photos, da lui fondata nel 1947.
Scianna sarà il primo fotografo italiano ad essere ammesso come membro della prestigiosa agenzia.
Ferdinando Scianna : l’incontro con Dolce e Gabbana e la modella Marpessa
Agli inizi degli anni 80 Ferdinando Scianna torna a Milano, lascia l’Europeo per dedicarsi a tempo pieno alla fotografia tramite la collaborazione con la Magnum.
Collabora con vari giornali ma nel 1987 avviene un incontro che cambierà la sua carriera professionale.
Due allora praticamente sconosciuti stilisti siciliani lo contattarono perché avevano visto alcune sue foto sulla Sicilia e volevano che fosse lui a realizzare un servizio fotografico per una loro collezione.
Non volevano un fotografo di moda e gli piaceva che fosse un siciliano a fotografare degli abiti che anche si ispiravano alla loro terra d’origine.
I due stilisti si chiamavano Stefano Dolce e Domenico Gabbana.
Si incontrarono a casa di Scianna dove lui gli mostrò alcuni lavori da “Feste religiose in Sicilia” e da “I siciliani”. Scianna disse : “Io questo faccio!”, facendo intendere che fotografia di moda era quanto di più lontano potesse esserci dal suo stile.
Guardando le foto, Stefano Gabbana disse una frase che a Scianna piace spesso citare durante le sue interviste :
Guardi, è proprio quello che noi volevamo : il nostro look, col suo feeling!
E da lì nacque una delle collaborazioni meglio riuscite nella fotografia di moda. La protagonista di quel servizio sarà la modella olandese Marpessa Hennink (Marpessa, che nome!).
L’intelligenza di Scianna sta nell’aver unito i registri della fotografia di moda con l’esperienza di reporter, creando così uno stile unico in cui si mescolano mirabilmente l’artificio e la spontaneità.




Questa prima esperienza lo porterà a collaborare con diverse agenzie e riviste di moda in cui interpreterà sempre la committenza col suo stile originale.








Ferdinando Scianna, Charles Dickens e il concetto di Punctum
Uno dei libri fondamentali che parla di teoria fotografica è senza dubbio “La camera chiara” di Roland Barthes.
In questo libro l’autore definisce due livelli possibili di fruizione di una fotografia.
Il primo livello, che definisce Studium, è quello in cui riconosciamo in una fotografia il consueto, qualcosa che comprendiamo attraverso la logica e il nostro bagaglio di conoscenze. Questo riconoscimento provoca un interesse svagato e irresponsabile nello spettatore.
Il secondo livello è quello del Punctum che, non sempre presente nelle fotografie, rappresenta un vuoto di visione, di significato, perché non si è in grado di ricondurlo subito ad un codice che già conosciamo.
E’ qualcosa che “ci punge” e non siamo noi ad andarlo a cercare ma è lui che cerca noi e cattura il nostro interesse appena lo vediamo.
A proposito di questa fotografia :




Ferdinando Scianna racconta :
“Eravamo a Modica e c’erano queste 4 signore che prendevano l’ultimo sole del pomeriggio.
Ho detto a Marpessa di mettersi lì, in mezzo a loro.
Ma questa si era un po’ messa da modella e non mi piaceva, quando le ho detto un po’ stizzito : Ma Marpessa!
Si è sentita rimproverare come una ragazzina e ha tirato su i piedi sul taglio della scarpa, proprio come una bambina imbarazzata.
Ed è proprio quel gesto che rende questa fotografia ambigua, sul crinale tra verità è finzione”.
Quando i nostri occhi arrivano a quel gesto strano dei piedi di Marpessa, si fermano e trovano quel significato non riconosciuto, che apre verso infinite possibilità.
Un giorno stavo guardando un video in cui Alessandro Piperno (uno dei miei scrittori italiani preferiti) parlava degli incipit letterari, cioè dei modi possibili che uno scrittore ha a disposizione per iniziare un libro.
Tra questi definiva “icastici” quelli che si affidano a piccoli dettagli figurativi che all’improvviso irrompono nella scena e si caricano di significati.
E già in questa descrizione mi è venuto in mente il concetto di Punctum, per poi avere definitiva conferma con l’esempio portato da Piperno.
Si trattava dell’incipit di “Dombey e figlio”, di Charles Dickens:
“Dombey era seduto nell’angolo della camera in penombra, sulla grande poltrona accanto al letto, e il Figlio era avvolto al calduccio in una cesta posata con cura su un basso divano proprio davanti al fuoco e molto vicino a esso come se, simile a un muffin per costituzione, appena fatto andasse abbrustolito.”
Il muffin irrompe all’improvviso, inaspettato, e lo scrittore accompagna il lettore ad associazioni che non avrebbe mai fatto da solo : due cose buone, fragranti e indifese, simili per costituzione.
Ferdinando Scianna e il reportage
Ma negli anni 80 Scianna non fu solo fotografo di moda : continuò anche la sua attività di reporter e di narratore di realtà sociali.
Nel 1987 seguì un progetto di una organizzazione di cooperazione internazionale 1987 nel villaggio di Kami, sulle Ande boliviane.
Il piccolo villaggio si trovava a circa 4.000 metri ed era abitato da minatori di tungsteno : in prospettiva di un reportage fotografico il posto era magnificamente drammatico.
A causa delle malattie polmonari l’aspettativa di vita era poco superiore ai 30 anni; si aspettavano i due anni di età dei bambini per dare loro un nome, perché prima la mortalità era molto elevata, quasi non valesse ancora la pena…








Tornato in Europa e riviste le foto scattate a Kami, Ferdinando Scianna rimase piuttosto deluso: le fotografie non erano come lui avrebbe voluto che fossero. Volle condividere il lavoro con Cartier-Bresson per avere un parere anche dal grande maestro : il lavoro era buono ma non era finito, ecco cosa non andava.
Scianna trovò modo di tornare a Kami per completare quel lavoro, ma la sua intenzione non era quella di realizzare fotografie di denuncia esplicita delle condizioni di vita di quelle persone; al contrario, voleva che tutta quella drammaticità rimanesse implicita.
Più che in modo giornalistico, voleva una rappresentazione che fosse più “letteraria”, avendo imparato che non esistono inferni che non siano abitati da esseri umani che cercano di essere felici.








Ho commentato quest’ultima foto nel post sui 5 fotografi famosi, nella sezione dedicata a Ferdinando Scianna.
Immagini e parole : l’universo di Ferdinando Scianna
Ferdinando Scianna scrive benissimo : sarà perché ha frequentato fin da quando aveva vent’anni un grande scrittore come Sciascia, sarà perché nel suo periodo parigino ha scritto per diversi giornali, fatto sta che al pari delle sue foto non si riesce a rimanere non affascinati dal modo in cui scrive.
Scianna ha sempre visto nelle parole la possibilità di completare la narrazione fotografica : il libro come destinazione e il racconto come scopo.
Da questo punto di vista, tra i tanti libri realizzati nel corso degli anni, io trovo bellissimo “Visti e scritti”, in cui raccoglie una serie di ritratti a persone famose e non famose incontrate nella sua vita.
E per ognuna di queste fotografie c’è uno scritto che lo spiega e lo completa.
Ecco un esempio di una fotografia compresa ne “I siciliani”, e lo scritto che l’accompagna :




Circolo di contadini, in gran parte pensionati. Coppole nere, per lutto, non per mafia come, chi lo sa perché, si crede al Nord.
A quell’età è difficile non avere lutti intorno a sé.
Le mani scabre e polite come vecchi utensili aspettano le carte per il gioco.
(da Visti e Scritti)
O ancora, la foto di Clorinda, un suo amore giovanile :
Gli amori adolescenziali sono eterni.
A condizione, beninteso, che durino pochissimo, lasciandosi dietro ineffabili sapori di terribili, indimenticabili sofferenze.
Solo così fissano dentro la nostra coscienza il paradigma dell’assoluto.
Il cerchio concluso: l’inizio e la fine in un lampo.
(da Visti e Scritti)
Il libro si apre con un ritratto del bisnonno di Scianna, ed un racconto di come il fotografo Coglitore ammazzi i vivi e resusciti i morti…
Conclusioni
Cosa abbiamo scoperto di Ferdinando Scianna?
Rivediamo alcuni punti salienti ella sua vita:
- da giovane ha scelto la fotografia per sfuggire ad un tipo mestiere che non faceva per lui;
- a 21 anni ha pubblicato il suo primo libro insieme a Leonardo Sciascia;
- durante gli anni 70 a Parigi diventò grande amico di Henri Cartier-Bresson;
- negli anni 80 è il primo italiano ad entrare in Magnum;
- nel 1987 diventa anche un fotografo di moda tramite l’incontro con Dolce & Gabbana;
- nello stesso periodo è andato in Bolivia per il reportage su Kami.
E poi dopo ha scritto ancora tanti di libri, di foto e parole.
Fa sempre bene conoscere i grandi fotografi : spero che questo articolo su Scianna ti abbia fatto venire voglia di continuare a scoprirlo in rete o attraverso i suoi meravigliosi libri.
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