Nan Goldin è una fotografa che ha rivoluzionato il modo in cui vediamo il mondo.
Attraverso il suo lavoro intimo e crudo, Goldin ci ha regalato uno sguardo senza compromessi sulla società contemporanea.
Alcune delle sue fotografie sono diventate un’icona nell’ambito dell’arte.
Questo è un suo famoso autoritratto :

Era stata appena picchiata dal suo uomo.
In quel periodo della sua vita, Nan era solita consumare grandi quantitativi di droghe e alcol assieme alla sua cerchia di amici più stretti.
Nel 2022 la regista Laura Poitras vince il Leone d’oro a Venezia per il miglior film “All the Beauty and the Bloodshed”.
Nel film si racconta la battaglia di Nan Goldin contro la famiglia Sackler, responsabile di aver generato una vera e propria epidemia da dipendenza di oppioidi e tantissime morti da overdose.
Starete pensando : dopo essere uscita indenne da una vita di abusi, Nan Goldin aiuta gli altri a non cadere in quella trappola dorata.
In parte è vero, ma le cose non sono andate proprio così.
Per capire come e dove si incontrano la vita di Nan Goldin e la vicenda della famiglia Sackler c’è bisogno di partire da un avvenimento di tanti anni prima.
Molti cercarono di farlo passare come un fatto accidentale, ma c’era dell’altro.
Nan Goldin e i primi anni della sua vita
“E’ stato un incidente”, diranno i genitori di Nan Goldin ai loro vicini, riguardo la morte della loro figlia Barbara a soli 18 anni.
Eppure Barbara si si stese di proposito su quei binari, esasperata da tutti gli psichiatri e le cliniche che avrebbero dovuto correggerla e insegnarle a non amare le ragazze.
Era il 1964 e problemi come il suicidio giovanile e l’identità di genere non potevano insozzare i pratini verdi della incontaminata provincia americana. C’era il sogno del benessere a cui aggrapparsi e loro volevano mantenerlo solido e incontaminato.
“I vicini non devono sapere” è quello che hanno deciso i genitori di Nan Goldin.
Era già iniziata quell’epoca dell’umanità in cui la società imponeva cosa desiderare e non era il caso che una ragazza sognasse altre ragazze anziché aspirare a comprare una minigonna o a ingozzarsi di patatine fritte.
E Nan si porterà dentro per sempre lo sfocato ricordo della sorella e il compito di dimostrare la realtà.
La morte di Barbara e le attenzioni ricevute durante il suo funerale da un parente tanto più grande di lei, fanno in modo che anche il rapporto di Nan con la sua famiglia fosse problematico.
Per le continue fughe da casa e per vari atteggiamenti fuori dalle regole domestiche della famiglia Goldin, Nan viene fatta osservare da psichiatri che le predicono lo stesso destino della sorella.
L’adolescenza alla Satya School
Tra i tentativi di non perdere anche la figlia più piccola, i genitori di Nan la danno in affidamento a varie famiglie e quando ha 15 anni, la iscrivono alla Satya Community School di Lincoln nel Massachusetts.
E’ questa una scelta involontariamente felice.
La Satya School è un luogo Hippy free, dove sono ammesse le diversità e dove tra gli insegnanti e gli studenti esiste un rapporto alla pari.
Nella scuola è anche incoraggiata la creatività e Nan ha la possibilità di utilizzare per la prima volta una macchina fotografica quando ha soltanto 15 anni.
E’ questo il periodo in cui inizierà anche a conoscere molto da vicino le droghe.
Alla Satya School Nan conosce David Armstrong che rimarrà per tutta la vita un suo grande amico e compagno di vita. David è omosessuale e anche lui diventerà un grande fotografo.
Nan Goldin a Boston e la nascita della sua “tribù”
Quando Nan Goldin ha 19 anni si trasferisce a Boston con altre 7 persone tra cui il suo inseparabile amico David : è l’inizio di quella tribù che da lì a poco Nan inizierà a raccontare attraverso la fotografia che sarà il soggetto di uno dei suoi lavori più importanti : “The ballad of sexual dependency”.
Si iscrive a diverse scuole di fotografia che però abbandona subito.
In una di queste conosce il libro “Tulsa” di Larry Clarke, in cui il fotografo racconta la vita dei ragazzi abbandonati dell’ Oklahoma, tra sesso e droghe.
Il lavoro di Clark insegna a Nan Goldin che è possibile spostare i limiti di quello che è lecito raccontare.
















E Nan ha intenzione di spostare quei limiti ancora oltre quello che ha fatto Larry Clark.
Nan Goldin e il The Other Side
“Eravamo le persone da cui i nostri genitori ci mettevano in guardia”.
Questo il motto dei partecipanti alle serate del The other side.
E’ questo il locale che Nan e David frequentano di più a Boston, culla della cultura Queer che a quel tempo aveva ancora bisogno di avere i suoi spazi ed era tenuta a debita distanza da tutto il resto.
Attraverso le sue fotografie Nan diventa ben presto il riferimento delle Drag Queen che iniziano ad adorarla.
Nei suoi scatti Nan Goldin trasmette tutto l’orgoglio di appartenere ad un terzo genere, qualcosa di altro e concreto, che esiste davvero.
E questo terzo genere è più sincero degli altri due.
Non sopporta i paragoni con le foto di Diane Arbus fatte agli stessi soggetti, in cui la grande fotografa viene accusata di psicoanalizzare e spogliare le drag queen, mostrandole come uomini e niente di più.
Nan Goldin riesce a mostrare cosa c’è davvero dietro quei lustrini scintillanti, la fluidità di genere come l’unica via per essere davvero ciò che si è.




Il The Other Side chiuse nel 1976, a causa delle lamentele dei vicini per i troppi rumori fatti durante la notte.
Ancora una volta “i vicini” della grande provincia americana si ergono a giudici di persone e comportamenti da cui stare alla larga.
New York e The ballad of sexual dependency
Nel 1977 Nan si laurea e va a vivere a New York, nel quartiere di Bowery.
Frequenta i club più trasgressivi di times Square, aggiungendo alle tematiche LGBT anche quelle punk e new wave che stavano nascendo in quel periodo.
Quando i locali all’alba chiudono, Nan trasferisce le feste a casa sua insieme ad un mare di alcol e droghe.
Da quei momenti di vita privata, colleziona un’enorme quantità di materiale fotografico che decide per la prima volta di proiettare al pubblico nel 1980 in forma di slideshow col sottofondo di una colonna sonora che va dai Velvet Underground a Nina Simone.




Sarà l’inizio della Ballad of Sexual Dependency, un’opera aperta a cui Nan continuerà ad aggiungere e togliere foto fino al 1987, quando vedrà la sua versione definitiva alla Arden Gallery di New York.
La Ballad è fatta così : una serie di fotografie proiettate in sequenza, con una colonna sonora in sottofondo, raccontano la vita privata di quella tribù che da sempre ha costituito la vera famiglia di Nan Goldin.
Come il feed di un social network
Che differenza c’è tra il racconto delle nostre vite per mezzo delle fotografie su un qualsiasi social network e il racconto di Nan Goldin?
Nan Goldin non vuole edulcorare quello che racconta, non c’è traccia di glamour nei locali che fotografa e non c’è alcuna forzatura a dimostrare momenti di divertimento.
Il suo è uno sguardo feroce.
Fotografa perché è da quando ha perso Barbara che non vuole perdere i ricordi della sua vita. Fotografa perché è necessario lasciare testimonianze di quello che è accaduto, che nessuno si immagini di farlo sembrare qualcos’altro.
Come la stessa fotografa racconta nell’introduzione di The ballad of sexual dependency :
Voglio mostrare esattamente come appare il mio mondo, senza glamour, senza glorificazione. […] Tutti noi raccontiamo storie che sono versioni della storia: memorizzate, incapsulate, ripetibili e sicure. La vera memoria, che queste immagini innescano, è un’invocazione del colore, dell’odore, del suono e della presenza fisica, della densità e del sapore della vita.
Nan Goldin












La vera dipendenza della ballad
Nan Goldin vuole raccontare l’essenza delle relazioni che si erano instaurate nella sua tribù, che ha da sempre rappresentato per lei la sua vera famiglia.
Una famiglia in cui non ci sono rapporti di sangue ma comunque di intimità, intesa in un senso più aperto.
Quello che interessa a Nan Goldin e raccontare la natura di quelle relazioni e di come la naturale attrazione sessuale tra uomini e donne possa diventare una dipendenza.
Una dipendenza che ci allontana dal nostro bisogno di autonomia.
Impariamo da Nan Goldin che il racconto delle proprie esperienze personali può diventare opera d’arte, se usato come strumento di espressione e non di trasformazione della realtà.
Eppure, il successo della Ballad risiede proprio nel riconoscimento dell’intimità da parte del pubblico, la stessa chiave che muove le raccolte di follower nei casi di maggior successo.
Il primo pubblico delle prime proiezioni degli anni 80 (che altro non erano che una primissima versione della Ballad definitiva) era costituito dagli stessi soggetti che erano stati fotografati.
Ad ogni nuova versione di quell’opera in costante movimento, a cui Nan Goldin aggiungeve e toglieva fotografie in continuazione, le persone facevano la fila per vedere se erano state incluse e per poter applaudire le loro vite e quelle dei loro amici.
La New York underground di Nan Goldin
L’estetica era quella desolante e squallida della vita media del lower east side di fine anni 70, fatta di interni maleodoranti e mal arredati.
Un tipo di vita che era in linea con l’estetica che gli appartenenti all’underground newyorkese avevano scelto per loro, uno stile scomodo e duro ma allo stesso tempo grandioso.




Ancora oggi quel tipo di ambientazione e quei personaggi fanno parte di una narrazione che è diventata un fatto culturale.
Rappresentavano l’esatto opposto di un’altra parte della società che era più forbita e ordinata e che costituiva il cuore trainante dell’economia americana.
Bisognava essere obbedienti a tante regole per poter ricoprire quel ruolo a cui tutti dovevano essere grati. Era lei, la nuova piccola borghesia, che ostentava quella sensazione di progresso e civiltà così diffusa in tutta l’America e in tutto il mondo occidentale.
Gli amici di Nan erano diversi : gli appartamenti disordinati e sporchi, le risate rumorose sfoggiate durante le feste, l’esuberanza dello stare insieme erano il loro modo di presentarsi al mondo.
E’ vero : fosse stato per gente come loro non sarebbe mai stato prodotto un frigorifero e l’uomo non sarebbe andato sulla luna.
Ma avrebbero pianto il gesto suicida di Barbara o forse Barbara non sarebbe mai arrivata a tanto, perché le avrebbero consentito di frequentare liberamente i suoi amori.
E’ stata forse salvata una sola vita di tutte quelle che non hanno saputo la verità su Barbara?
Fosse stato per loro, il The Other Side di Boston non avrebbe mai chiuso.
Fuori dalle droghe e un indesiderato nuovo ospite
Nel 1988 Nan Goldin è arrivata così vicina al limite oltre il quale le droghe possono mettere a rischio la propria vita, che ha dovuto prendere una pausa dalla sua tribù.
Per un anno intero è stata lei l’unico soggetto delle sue foto, producendo una serie di autoritratti per raccontare il suo periodo di disintossicazione.
La sua comunità di amici e conoscenti, fotografati sempre nei loro ambienti notturni, ha lasciato spazio ad un qualcosa con cui Nan si confrontava per la prima volta : la luce del giorno.




Le narrazioni di interni col suo caratteristico uso del flash, vengono sostituite da lei in un letto di ospedale, sempre più serena e riposata.
Uscita dalla clinica Nan ritorna ai suoi amici e alla sua tribù ma ad attenderla c’è anche un ospite non gradito : l’HIV.
I suoi amici, che prima fotografarla per fare in modo che non l’abbandonassero mai, neanche nel ricordo, adesso cerca di cristallizzarli nelle immagini per rubare gli ultimi istanti alla morte.
Nan Goldin : The Cookie Portfolio
La sua amica Cookie è una delle prime ad andarsene, nel giorno della caduta del muro di Berlino, e a lei dedicherà The Cookie Portfolio.
Cookie Mueller è un po’ una regina dell’underground newyorkese di quegli anni.
Vivace e fiammeggiante, gli scatti di Nan Goldin la raccontano come una giovane e affascinante donna anima di molte feste, che amava bere molto, aveva un figlio e un amante che sarebbe morto poco prima di lei, anche lui di AIDS.
Dalle foto di Nan non è possibile capire che lavoro faccia Cookie e come sia organizzata la sua vita. Se la mattina prepara la colazione al figlio, quali interessi avesse e dove trascorresse il tempo delle sue vacanze.
Nan Goldin aveva convinto Cookie a diventare sua amica proprio scattandole delle foto, quasi la fotografia fosse una forma di corteggiamento. Quello che le interessava era il lato sociale della sua amica, quella straordinaria gioia di vivere nei confronti della quale la stessa Nan era in soggezione.




Più in generale, Nan Goldin utilizza la fotografia per una funzione nuova. Non più come strumento di memoria rivelatore della verità, ma quasi come una tenera arma che potesse salvare i suoi amici da quella tragedia spaventosa chiamata HIV.
Pensavo che non avrei potuto perdere nessuno se li avessi fotografati abbastanza.
Nan Goldin
Ed è così che sceglie proprio Cookie e la sua vicenda personale per inaugurare la narrazione dell’epidemia di AIDS.












Ma le foto più famose sull’AIDS sono quelle a Gotscho e Gilles, scattate a Parigi durante le ultime fasi della malattia di Gilles nel 1993 :








Una rinata Nan Goldin
Nei primi anni 90, per scrollarsi di dosso tutto il dolore vissuto per la perdita dei suoi amici, si dedica a lavori che la riportano a vecchi interessi.
Fotografa di nuovo le Drag Queen che nel frattempo hanno conquistato tutta la visibilità che meritano.
Il titolo del libro in cui raccoglierà questi scatti è un omaggio al locale di Boston in cui per la prima volta Nan Goldin entrò in contatto con la cultura Queer : The Other Side.
Il fotografo giapponese Nobuyoshi Araki rimane folgorato dalla Ballad e nel 1994 firma insieme a Nan Goldin il lavoro “Tokio Love”, sulla vita clandestina degli adolescenti della metropoli giapponese.
Nan, visitando Tokio in quegli anni, aveva ritrovato la stessa tribù in un gruppo di ragazzi che vivevano secondo le stesse regole che aveva lei da ragazza.
Nel 1996 Al Whitney Museum di New York allestisce una sua personale retrospettiva (I’ll be your mirror).
Da questa retrospettiva verrà realizzato anche un documentario per la BBC.
Per la prima volta nella sua vita, dopo una serie di cadute da cui è sempre riuscita a rialzarsi con successo, Nan vive una relativa tranquillità.
Nan Goldin e quella maledetta tendinite
Ricapitolando : da giovanissima, Nan Goldin subisce il trauma del suicidio della sorella e da questo ne deriva una vita fuori dalle regole, votata alla rappresentazione della verità attraverso la fotografia, circondata da un mare di droghe e alcol.
Quando è arrivata al limite ha deciso di disintossicarsi e quando ha di nuovo raggiunto la sua tribù ha dovuto avere a che fare anche con la rappresentazione dell’HIV.
Nel frattempo, nei primi anni 2000, la famiglia Sackler si rendeva responsabile di una epidemia di overdose di oppioidi.
Adesso abbiamo qualche tassello in più per collegare le due storie : Nan Goldin ha toccato con mano la disperazione dovuta alla dipendenza dalle droghe e vuole salvare chi rischia di esserne travolto a sua insaputa.
Ci siamo quasi, ma dobbiamo aggiungere un fatto che rende il tutto drammaticamente ironico.
Dopo essere rimasta una delle poche sopravvissute della sua cerchia di amici, scampata al pericolo delle droghe e dell’HIV, Nan Goldin ci ricasca ma questa volta con la ricetta del dottore.
Durante i primi anni 2000 infatti, mentre era a Berlino, per guarire una tendinite le viene prescritto l‘OxyContin. Diventa subito dipendente dal farmaco, in pochi giorni non riesce più a farne a meno.
Tornata a New York non riesce più a farselo prescrivere ma non è l’unica ad entrare in questa spirale senza fine.
Il numero delle prescrizioni ottenibili legalmente è limitato e quindi ci si inizia a rivolgere al mercato nero dove è più facile ottenere eroina a prezzi anche inferiori.
L’eroina viene spesso viene tagliata con il Fentanyl che è talmente forte da poter uccidere.
Durante questa sua nuova dipendenza, Nan Goldin rischia diverse volte overdose letali ma riesce sempre ad uscirne.
La consapevolezza di non essere sola nel suo nuovo dolore
Il 23 Ottobre del 2017 Nan Goldin, leggendo il New Yorker, si imbatte in un articolo di Patrick Radden Keefe dal titolo : “The Family that built an empire of pain” (“La famiglia che ha costruito un impero di dolore”). E capì di non essere sola in quell’orrore.
La famiglia Sackler, proprietaria della Purdue Pharma, accompagna da sempre il suo nome ad opere di filantropia, soprattutto legata a donazioni nel mondo dell’arte.
Tantissime sezioni dei più grandi musei del mondo oggi portano il nome di quella famiglia : la Sackler Gallery, a Washington; il Museo Sackler, ad Harvard; il Sackler Center for Arts Education, al Guggenheim e una dozzina di altre università.
Per la famiglia Sackler è stata la dimostrazione di come i valori fondanti del sistema capitalistico e imprenditoriale fossero sani e giusti.
Nel 1995 la Purdue Pharma lancia sul mercato l’OxyContin, un antidolorifico a base oppiacea, sostenuto da una campagna di marketing che convince i medici a superare la diffidenza a prescrivere quel tipo di farmaci.
Altro che filantropia : 64.000 decessi per overdose solo nel 2016 (quasi 400.000 totali), circa 200 morti al giorno.
La reazione di Nan Goldin fu immediata : crea la campagna P.A.I.N. (Prescription Addiction Intervention Now) iniziando la propria battaglia personale contro la famiglia Sackler che “si è ripulita il sangue comprando arte”.
La Goldin organizza diverse manifestazioni di protesta nei luoghi in cui i Sackler hanno elargito fondi a favore dell’arte.








Ha visto morire una generazione, adesso non vuole stare in silenzio di fronte ad un’altra ondata di morte.
«L’aids ha spazzato via tutti e non possiamo permettere di perdere un’altra generazione. È ora di iniziare ad affrontare le cause di questo dolore, prima che muoiano altre persone».
Conclusioni
“E’ stato un incidente”, dicono i genitori di Nan, ma in realtà Barbara si è suicidata.
“Tutto quel baccano la notte è inaccettabile”, dice chi abita a Boston vicino il The Other Side, ma in realtà non sopportano tutti quei giovani uomini travestiti da donne.
“Che generosi questi Sackler, esiste davvero chi è in grado di mettere a disposizione degli altri la propria fortuna” dice l’americano medio al cospetto delle donazioni di quella famiglia, che in realtà deve coprire ben altri affari.
E’ questo quello contro cui Nan Goldin ha lottato per tutta la vita : la ricerca della verità che resta nascosta dietro la facciata delle cose.
La prima parte della sua vita è sinceramente trasgressiva.
Intraprende un viaggio consapevole dentro i labirinti della dipendenza sessuale e delle droghe, riuscendone ad uscire per tempo e a capire i loro meccanismi.
E nel frattempo li rappresenta nelle sue fotografie con una ossessione per la verità che diventa arte.
Perché anche una dipendenza può essere meravigliosa se vissuta con consapevolezza.
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