Immagina di partecipare ad una lezione tenuta da 6 fotografi famosi.
Immagina di avere davanti a te : Ansel Adams, Steve McCurry, Sebastiao Salgado, Luigi Ghirri, Ferdinando Scianna e Henri Cartier-Bresson.
Ascoltare il loro punto di vista sulla fotografia può avere più valore di un intero corso di tecnica fotografica.
Perché arrivare al punto in cui la tecnica è solo più uno strumento per trasmettere un tuo messaggio, con una tua voce distintiva, significa aver raggiunto il traguardo.
Il traguardo di essere diventato un grande fotografo.
E allora ascoltiamoli questi 6 grandi fotografi mentre raccontano le proprie fotografie e alcuni episodi delle loro vite straordinarie.
Me li sono immaginati tutti insieme, che si alternano dietro una cattedra per una lezione in cui parlano in prima persona : una lezione surreale, anche perché alcuni di loro non ci sono più.
In ognuna di queste lezioni, un fotografo famoso ci parlerà dell’argomento che più ha caratterizzato la sua fotografia. Ogni pensiero espresso è una mia libera interpretazione di tutti i libri letti, le fotografie viste e le interviste ascoltate su ognuno di loro.
Sei pronto.
Eccolo, sta entrando il primo…
Ansel Adams : su come governare la tecnica.




Si parla molto di me come grande fotografo e questo non può che lusingarmi.
Quello che mi fa meno piacere è notare che il mio nome sia diventato sinonimo di tecnica pura e di poco cuore.
Se la maggior parte di voi seduti in quest’aula pensa questo, allora devo aver fatto un pessimo lavoro come divulgatore del mio pensiero. Non c’è niente di più lontano da quelle che erano le mie reali intenzioni.
Alla base del mio lavoro c’è sempre stata una cosa fondamentale : il concetto di visualizzazione.
Visualizzare vuol dire avere già immaginato come vorremmo venisse in stampa la scena che stiamo inquadrando . E non come fatto tecnico, badate bene : la tecnica viene dopo.
Visualizzare come fatto espressivo e gesto creativo.
L’avanzare della tecnologia ha creato una distorsione di tutto questo : tutti questi sistemi a prova d’errore e alla portata di tutti, limitano la padronanza che l’operatore creativo deve avere sui suoi mezzi per esprimere compiutamente le sue idee.
Uno scultore accetterebbe volentieri uno scalpello più affilato, ma non ne accetterebbe mai uno che creasse l’opera al suo posto. Quale senso avrebbe?
Tra tutti i fotografi famosi presenti qui oggi, forse sono l’unico che, oltre alle sue fotografie, ha lasciato in eredità una teoria fotografica ben precisa.
Il mio Sistema Zonale è uno strumento che vi mette in condizioni di governare la tecnologia, per fare in modo che i valori di grigio o le sfumature colore in stampa risultino come voi le avete immaginate.
Guardate questa foto:




Tornavo a Santa Fe da una gita alla Chama Valley. Il sole stava illuminando di taglio un banco di nuvole in rapido movimento a ovest.
Ho preparato più in fretta che potevo la macchina fotografica, intuendo subito obiettivo da utilizzare e inquadratura.
In funzione di come volevo venisse la foto, ho iniziato a regolare la macchina. Mi resi conto di non trovare l’esposimetro (allora non erano integrati nelle macchina fotografiche) e inziai a fare delle considerazioni.
Ricordavo il valore di luminanza della luna in quelle condizioni e ho stimato che quello delle nubi lontane fosse almeno il doppio di quelle della luna.
Grazie al sistema zonale sono riuscito a calcolare il valore da dare all’esposizione per fare in modo che la resa in stampa fosse quella voluta.
Il ricordo dell’immagine che avevo di fronte ai miei occhi non corrisponde a quello che vedete nella foto : c’erano altri contrasti ed altre luci. Ma avevo visto che c’era la possibilità di dare al tutto un senso di profondità e mistero. E così è stato.
Non fate scattare alla vostra macchina fotografica le vostre fotografie : scattatele voi.
Steve McCurry : sul colore.




Nel mondo si parla molto di me e delle mie fotografie.
Vorrei dedicare questa lezione a tutti quelli che cercano di capire in che modo io riesca a realizzare i miei scatti. Magari con la speranza di diventare un giorno dei fotografi famosi.
Noto che siete interessati soprattutto al colore : c’è chi crede che sia merito del tipo di macchina fotografica che utilizzo, altri ipotizzano sia tutta una questione di post produzione, altri ancora danno il merito ai miei assistenti.
Oggi mi piacerebbe farvi cambiare prospettiva : invece di chiedervi come io riesca ad ottenere quei colori, perché non vi domandate il perché utilizzo il colore in quel modo?
E’ questa la prima domanda da farsi : potreste non essere d’accordo con le mie motivazioni e non avrebbe senso imitare qualcosa di cui non si è convinti.
Ognuno di noi ha la propria personalità fotografica e il proprio stile, siamo tutti individui diversi, e alla fine quello che conta è la propria voce.
Prima di tutto, credo che solo attraverso il colore sia possibile restituire la verità, perché il mondo è a colori e non in bianco e nero. E poiché io mi occupo di reportage, per me il livello di verità di una foto è molto importante.
Il secondo aspetto riguarda la funzione che do al colore : io uso il colore per comporre la foto. Non tutti i fotografi famosi lo fanno, altri hanno caratteri compositivi diversi. Il bello è che nessuno di noi ha ragione.
Per me il colore ha la stessa funzione di una linea guida che attraversa la foto e cioè di accompagnare lo sguardo. E’ una forma compositiva che suggerisce allo sguardo dove andare e per questo la preferisco a quelle geometriche, che indicano con più certezza agli occhi la direzione da seguire.
I miei colori sono più forti e saturi di quelli utilizzati da altri fotografi famosi, perchè io ho fatto la scelta di farli diventare una parte importante del mio linguaggio.
Io sono onorato che molti di voi cerchino di fare fotografie con i colori alla Steve McCurry : ma è davvero una scelta vostra? E’ il risultato di un vostro ragionamento interiore?
Se sì, fate pure. Altrimenti, fatevi altre domande.
E parliamo di lei, questa ragazza afgana che da anni è diventata sinonimo del mio nome.




In una foto di carattere statico come è per sua natura un ritratto, il colore è la sola cosa che ci resta per imprimere forza.
Ho sentito parlare spesso degli occhi verdi della ragazza e della sua espressione profonda. In pochi hanno sottolineato la scelta dei colori.
In questa fotografia sono preponderanti e volutamente equilibrati due colori : il rosso e il verde.
Nella ruota dei colori il rosso e il verde sono contrapposti e si definiscono colori complementari. Quando accostati due colori complementari hanno un grande impatto visivo.
Riuscirli a dosare correttamente può imprimere forza alla fotografia, al contrario possono risultare troppo “violenti” se utilizzati in modo improprio.
Il mondo dei colori è la nostra, enorme tavolozza. Come li uso io è una mia scelta. Adesso sta a voi esplorare questo territorio e tirare le vostre conclusioni.
Adesso vediamo cosa ha da dirci il prossimo grande fotografo…
Sebastiao Salgado : sull’umanità.




Ho pensato molto a cosa sarebbe stato utile dirvi in questi pochi minuti.
Io non ritengo di aver fatto fotografie migliori di quelle che al mio posto avrebbero scattato altri fotografi famosi.
Ma mi do il merito di essere stato in quei posti e di aver conosciuto quelle persone che sono diventate i soggetti delle mie fotografie. Questo sì.
Ecco : vi vorrei parlare di quelle persone e di quello che mi hanno lasciato.
Oggi c’è la tendenza a fare tutto subito, dall’inquadratura , alla ripresa, alla diffusione della fotografia. Spesso però manca un progetto in cui inserire le fotografie, l’intenzione che muove il tutto.
Come sapete io ho viaggiato in molte parti del mondo, ho scoperto tante popolazioni, ho documentato conflitti e particolari condizioni di vita degli esseri umani.




La forza dell’insieme delle fotografie è sicuramente proporzionale al tempo impiegato per quella determinata missione. Non avrei potuto raggiungere gli stessi risultati con una toccata e fuga sul luogo che mi interessava fotografare.
Ho dovuto vivere i luoghi visitati ed entrare in contatto con quelle persone.
Da tempo mi occupo degli Indios che vivono da cacciatori raccoglitori all’interno dell’ Amazzonia. A volte raggiungere i loro villaggi richiede pochi giorni, altre volte è più complicato perché non esistono collegamenti.
Devo partire sempre con un gruppo di persone che mi aiutino : esperti navigatori di piroga, traduttori, sociologi. Devo portare cibo perchè non posso contare sulla alimentazione degli Indios e lì non c’è elettricità.




La prima volta credevo fosse difficile perchè non conoscevo la lingua e la loro cultura.
Per loro non ero un fotografo famoso ma solo un comune visitatore come altri.
Invece nel giro di poche ore ero completamente a mio agio perchè, alla fine, non ho fatto che tornare a casa mia.
Nella mia tribù degli esseri umani.
Loro sono quello che eravamo noi 15.000 anni fa. Siamo gli stessi Homo Sapiens.
Quello che è essenziale per me lo è anche per loro : l’amore, la gelosia, la solidarietà, l’idea comunitaria.
L’amore di una madre per i propri bambini è lo stesso che prova mia moglie per i nostri figli.
Hanno lo stesso sistema logico di relazioni che ho io nella vita di Parigi.
Tutto quello che abbiamo in comune è un qualcosa che appartiene all’umanità.
E c’è da imparare dalle cose per cui sono migliori di noi.
Ad esempio, ho notato che da loro non ci sono conflitti perché mancano le restrizioni.
Una volta stavo fotografando una scena nei pressi di un fiume. Un bambino con i suoi giochi d’acqua mi disturbava l’inquadratura. Chiesi alla mia traduttrice di dire alla madre di farlo smettere.
Ricordo la scena : la madre sembrava non capire la domanda e in effetti era così.
La traduttrice tornò e mi disse : “Sebastiao non puoi chiedere questo : loro non conoscono il concetto di repressione”.
Vivete anche voi la fotografia come lo strumento che può portarvi ad esperienze di questo tipo : le foto poi verranno da sé, ve lo garantisco.
Luigi Ghirri : sulla fotografia di paesaggio “minima”
Partirei proprio dal descrivervi come avvengono i miei viaggi e che tipo di fotografie riesco a fare.
Nei viaggi che ho fatto non sono mai andato troppo lontano.
Ho visitato la Francia, la Svizzera, l’Olanda e poi l’Italia, soprattutto quella centrale e meridionale. Il tutto sempre nei fine settimana o durante le vacanze estive.
Durante questi viaggi mi capitava di fare due tipi di fotografie.
Le prime sono del tipo solito, quelle che fanno tutti e che ritraggono le cose appena scoperte e che non si erano mai viste prime. Del resto il senso del viaggio estivo o domenicale è proprio quello.
Il secondo tipo di fotografie è quello che definisco più mio, in cui mi concentro sui luoghi “soliti”, quelli che guardiamo passivamente tutti i giorni.
Isolare questi luoghi dal contesto della vita di tutti i giorni permette una loro lettura più approfondita proprio perché sono luoghi che conosciamo e perché sono contenitori di ricordi e sensazioni.
Per questo mi piacciono molto i viaggi sull’atlante, per questo mi piacciono ancora di più i viaggi domenicali minimi, nel raggio di tre chilometri da casa mia.




Nella fotografia di paesaggio troppo spesso si cerca la riproduzione fredda del luogo, come se si dovesse fare una sorta di cartolina geografica del territorio visitato.
Oggi poi c’è il vezzo della precisione dei dettagli e della rivelazione nitida di tutto quello che si cerca di rappresentare.
Io preferisco lasciare al paesaggio ancora l’opportunità di svelare qualche segreto. Del resto, quello che ci è dato di rappresentare, sono proprio delle piccole smagliature dei luoghi in cui viviamo. Per questo adoro le periferie o i posti in cui passiamo il nostro tempo.




Quando fotografate, cercate di tornare a vivere lo stupore del momento della scoperta della fotografia. La magia di ridare ad un evento la possibilità di uno sguardo successivo, per ricordarlo, per capirlo meglio o solo per vivere la gioia di rivederlo.
Cercate di non voler descrivere, ma di catturare sentimenti di questo tipo.
Vedere un paesaggio come se fosse la prima e l’ultima volta determina un senso di appartenenza nuovo che può davvero trasformare le vostre fotografie in qualcosa di originale, completamente diverso dal tutto il resto, un gesto che fate prima di tutto per voi stessi.




Ferdinando Scianna : sulla filosofia della fotografia.




Nella mia vita da fotografo mi sono occupato un po’ di tutto : dal reportage alla fotografia di moda.
Il mio primo libro è uscito che avevo 21 anni. In definitiva, era un libro in cui c’erano dei racconti di feste religiose. Allora non ero ancora un fotografo famoso.
In realtà, l’autore che spiccava sulla copertina di quel libro era Leonardo Sciascia, che aveva scritto l’introduzione.
Il titolo del libro era : ”Feste religiose in Sicilia”.
E io comparivo solo nel sottotitolo : fotografie di Fernando Scianna.
Fernando, non Ferdinando, il nome con cui tutti mi chiamavano allora.




Molti mi dissero : “Ma come, è un libro con le tue fotografie e sembra che l’autore sia Sciascia!”
Io rispondevo che mi stava bene così, anzi ero felice di quella amicizia così grande e importante.
E’ da quel momento che è iniziata la mia religione del Libro, nel senso che per me l’unico destino possibile per una fotografia era quello di finire in un libro.
Ho sempre pensato anche che il rapporto che c’è tra le immagini e le parole fosse molto importante.
Chi lo ha detto che un’immagine vale più di cento parole? Le due forme di narrazione si possono sostenere e completare a vicenda.
Nel 2014 ho pubblicato un libro : “Visti e scritti”.
Qualcuno lo definirebbe un libro di ritratti. E infatti lo è. Ma ogni ritratto è accompagnato da un mio scritto che lo racconta, lo spiega, lo completa.
Come esempio vi faccio vedere il ritratto di un mio amore giovanile e come viene completato dalle parole che le ho dedicato :




Gli amori adolescenziali sono eterni.
A condizione, beninteso, che durino pochissimo, lasciandosi dietro ineffabili sapori di terribili, indimenticabili sofferenze.
Solo così fissano dentro la nostra coscienza il paradigma dell’assoluto.
Il cerchio concluso: l’inizio e la fine di un lampo.
C’è una frase di Oscar Wilde in cui ritrovo molto il senso del gesto del fotografare e che accomuna l’approccio di molti fotografi famosi :
“Il mistero sta nel visibile, non nell’invisibile”.
Ma se è nel visibile, dov’è il mistero?
Avvengono nella realtà dei misteriosi incontri, che quindi sono visibili : e la fotografia è lo strumento per indagare questi incontri.
Sono occasioni visive in cui l’enigma, più che essere rivelato, viene proposto. E poi rimane lì solo suggerito, sospeso.
Guardate la foto di questo bambino:




C’erano già il cappello tenuto in mano dall’uomo sullo sfondo, e quello tenuto in testa dalla madre.
A un certo punto il bambino, con un gesto indietro del capo, mi offre questo terzo cerchio che va a completare la composizione. Scopro dopo che la madre lo stava portando da un dottore e gli fu diagnosticato un disturbo alla vista.
Forse quel suo chinare indietro la testa era per cercare la luce che chissà da quanto tempo gli mancava.
Oppure quest’altra :




Ero in India per un reportage e a un certo punto vedo questo cane che cerca di azzannarsi la coda per spulciarsi, chiudendosi in una forma circolare.
Ma non è solo la sua forma : il cane traccia un vortice e richiama il motivo architettonico del pavimento di questa terrazza. Poi il fiume e il cielo tempestoso formano una curva che va a tagliare il tutto.
L’enigma è dato dal fatto che ho riconosciuto, inconsciamente (mica avevo avuto il tempo di pensare), tutta quella geometria….
La magia di una foto.
Oltre che con Sciascia, la vita mi ha onorato di un’altra grande amicizia, con un grande fotografo, per me il più grande di tutti : Henri Cartier-Bresson.
E lui era un grande scopritore di enigmi.
C’è una sua fotografia in cui l’enigma gliel’ho fatto scoprire io.
Ma forse ve ne vuole parlare lui…
Henri Cartier-Bresson : sulla composizione.




Spero che essere stato messo alla fine di questi interventi sia frutto del caso e non di un premeditato gran finale.
Tra fotografi famosi queste cose sono molto delicate da gestire e non vorrei fare torto a nessuno…
Ho scelto di parlarvi della composizione perché è il tratto distintivo della mia fotografia, da sempre.
Prima della Street Photography, prima di tutte le cose che sono successe nella mia vita e che mi hanno insegnato il mestiere di fotografo, c’è la composizione.




Sono desolato nel dirvi che però non ho formule magiche da raccontarvi, nè argomenti specifici da trattare.
Vorrete mica che vi parli della regola dei terzi o della sezione aurea ?! …
Non perché non li ritenga importanti ma perché vengono dopo aver scattato, e possono servire solo come materia di riflessione.
Una riflessione che ci dimostrerà come istintivamente abbiamo applicato luoghi geometrici precisi, senza i quali, la nostro foto sarebbe amorfa e priva di vita.
Non è che vada alla ricerca di una struttura, di forme, motivi o cose del genere quando fotografo, ma provo un piacere sensuale, e al tempo stesso intellettuale, quando vedo che ogni cosa è al posto giusto.
E’ il riconoscimento di un ordine che appare sotto i tuoi occhi.




Una volta, tanti anni fa, prima dell’arrivo di tutta questa tecnologia, ricordo di aver detto : “Spero di non vedere mai il giorno in cui si venderanno schemi su vetri opacizzati”.
Questo giorno è arrivato : ognuno dei vostri telefoni può dividere lo schermo nei 9 riquadri della regola dei terzi e guidarvi durante lo scatto.
Ma al momento di fotografare la composizione deve essere intuitiva, perché siamo alle prese con attimi fuggenti dove i rapporti sono mobili.
E allora, come si fa ad esercitarsi all’intuizione?
Imparando a riconoscere le intuizioni degli altri.
Non siate mai sazi di guardare le foto di fotografi famosi e riconoscere le loro geometrie. Non stancatevi mai di guardare foto e sforzatevi di riconoscere i segni geometrici, i significati.
Quando a 18 anni ho iniziato a studiare pittura, il mio maestro André Lhote ci faceva praticare quelli che lui chiamava gli “esercizi di purificazione”.
Si trattava di prendere le opere dei grandi maestri e sovrapporli a schemi di costruzioni geometriche. E quella è stata la mia più grande palestra: è lì che ho contratto il virus della geometria.
Il secondo modo per esercitarsi ad intuire la composizione è quello di scattare tante fotografie.
Tutti i fotografi famosi hanno delle frasi celebri da cui vengono preceduti. Una di quelle più legate al mio nome è questa :
“Le prime 10.000 fotografie sono le peggiori”.
L’ho scritta in un tempo in cui scattare fotografie era molto più impegnativo e più costoso di oggi. Dovessi rendere più vicina all’età contemporanea questa affermazione probabilmente quel 10.000 diventerebbe per lo meno 50.000…
L’amico Ferdinando prima definiva come un enigma l’intuizione geometrica presente in una fotografia, come una rivelazione accaduta nell’occhio del fotografo.
E a volte sono gli altri a farti notare i fatti geometrici presenti nelle tue fotografie, a testimonianza di quanto possano essere inconsci e misteriosi.
Guardate questo scatto, una delle mie fotografie più famose :




Già di suo contiene la magia dell’istantaneo : il richiamo della forma del soggetto nel riflesso della pozzanghera non poteva che avvenire in quell’istante decisivo.
E poi un giorno Ferdinando mi chiede se avevo visto che dietro c’era un manifesto, in cui una ballerina sembra imitare lo stesso movimento del soggetto.
E fui contento di poter rispondere che, in effetti, quel manifesto non lo avevo visto.
Conclusioni
Cosa ci hanno insegnato questi grandi fotografi?
Tante cose, ognuno a modo suo, a testimonianza non solo della loro grandezza ma anche delle enormi possibilità della fotografia. Non si diventa per caso dei fotografi famosi ma ci va applicazione e le idee chiare.
Ripassiamoli in rassegna :
- Ansel Adams ci ha insegnato come governare la tecnica e raggiungere la consapevolezza creativa delle nostre fotografie;
- Steve McCurry ci ha fatto scoprire il colore come mezzo di composizione e la necessità di crearsi un proprio carattere espressivo;
- Sebastiao Salgado ha sottolineato l’importanza di scattare in prospettiva di un progetto più ampio e di utilizzare la fotografia come strumento di conoscenza dell’umanità;
- Luigi Ghirri ha raccontato qual è la prospettiva del suo particolare sguardo sul mondo e su come rendere la fotografia di paesaggio qualcosa di diverso dal solito;
- Ferdinando Scianna ci ha raccontato il fascino che c’è nel riconoscere le intuizioni presenti nelle grandi fotografie;
- Henri Cartier-Bresson ci ha insegnato l’importanza della composizione e della pratica.
L’insegnamento più grande che ci portiamo a casa è quello di avere sempre un messaggio da trasmettere attraverso le nostre fotografie.
La fotografia è un linguaggio è in quanto tale la tecnica deve essere intesa come la grammatica di questo linguaggio : fondamentale per farsi capire ma non è lì che risiede la nostra personalità.
Il nostro tratto distintivo si trova nell’originalità di quello che abbiamo da dire.
E tu, a quale di questi grandi fotografi ti senti più vicino?
Molto interessante. Grazie
Sicuramente ogni insegnamento di questi Grandi deve necessariamente stimolarci ad essere meno frettolosi e più profondi quando decidiamo di scattare una foto, in effetti c’è un lavoro che precede lo scatto che richiede molto studio e pratica.
Grazie