
C’è stato un tempo in cui le fotografie di Diane Arbus proprio non le capivo.
Sapevo che si trattava di una grande autrice, che i suoi scatti erano esposti nei più grandi musei del mondo e che molti le riconoscevano un talento indiscutibile.
Come sempre accade quando ci si trova di fronte ad un grande autore, andava trovata una chiave di lettura.
Allora decisi di approfondire l’argomento correndo, come al solito, il rischio di non trovare niente di interessante. Ma questo è un pericolo che vale sempre la pena di affrontare.
Oggi posso dire che questa fotografa rappresenta per me un punto di riferimento e fonte di ispirazione.
Allora adesso rilassati, mettiti comodo e non farti disturbare da nulla e da nessuno : stai per entrare nel meraviglioso mondo di Diane Arbus.
Non aspettarti favole, principi e principesse : piuttosto tipi strani, bambini che sembrano normali e adulti che si fingono felici di fronte alla loro vita borghese.
Sei pronto?
Cominciamo.
Le fotografie di Diane Arbus e il motivo della loro grandezza
La più grande forma di avventura a disposizione dell’uomo moderno è quella di partecipare ai viaggi organizzati in occasione del proprio periodo di ferie.
Intrepido di fronte al pericolo, abbandona la propria casa per iniziare una nuova routine quotidiana in un posto che, nei casi più estremi, visita per la prima volta.
Roba da far tremare i polsi…
E in questi viaggi mirabolanti ha sempre con sé una macchina fotografica.
Le fotografie saranno la prova che il viaggio è stato fatto, che la l’impresa è stata compiuta.
Come abbiamo già descritto nel post sul linguaggio fotografico, la stragrande maggioranza delle fotografie svolgono la funzione di provare una qualche circostanza : essere stati in un luogo o insieme a qualche persona.
La fotografia diventa forma espressiva quando supera questa mera funzione dimostrativa e inizia a contenere un significato.
Le fotografie di Diane Arbus, come tutte quelle dei grandi fotografi, contengono significati.
E in questo articolo voglio farti conoscere qual è la mia personale interpretazione delle sue fotografie.
Alla base di tutto c’è, come al solito, una considerazione biografica da fare.
Come vedremo in seguito, gli anni dell’infanzia di Diane Arbus sono trascorsi nell’agiatezza di una famiglia dell’alta borghesia newyorkese degli anni 20 del Novecento.
Dice la Arbus di quegli anni :
Una delle cose per cui sentivo di soffrire da bambina era che non avevo mai conosciuto l’avversità. Ero prigioniera di un senso di irrealtà. E questa sensazione di immunità era dolorosa.
Diane Arbus intende la fotografia come un’emancipazione dalla sua vita di perfetta madre di famiglia americana, tutta intenta a crescere i figli e a prendersi cura del praticello davanti a casa.
E le sue fotografie trasmettono proprio questo messaggio, da cui tutti gli uomini di buona volontà degli anni settanta erano impazienti di farsi turbare.
La Arbus elabora questo messaggio in due modi fondamentali :
- fotografando i “freaks”, persone con disabilità o esclusi dalla società, senza alcuna intenzione di denuncia o di pietismo, ma sottolineandone la loro normalità nei confronti della vita;
- fotografando i “normali”, cioè persone appartenenti alla borghesia, cogliendoli con la guardia abbassata, evidenziando le loro difficoltà a vivere le loro vite normali.
I soggetti di Diane Arbus affermano il loro essere nel mondo al di là delle forme sociali imposte.
Diane Arbus e la fierezza dei suoi Freaks
La Arbus vuole dimostrare che esiste la possibilità di un mondo diverso rispetto a quello tradizionale e borghese. E per fare questo, in molte delle sue fotografie rappresenta alcune “diversità” nel loro modo di stare al mondo in maniera ”normale”.
Stiamo parlando dei ritratti ai suoi freaks, che lei rappresenta senza alcun tipo di pietà, di denuncia o di cinismo.
I personaggi fotografati da Diane Arbus non sanno di essere brutti.
La loro bruttezza non si porta mai dietro una sofferenza perché è una condizione che risale alla loro nascita e non è mai legata ad un trauma.
Molte persone normali vivono nel timore che gli possa capitare un’esperienza drammatica. I fenomeni da baraccone sono nati nel loro trauma. Hanno già superato la loro prova nella vita. Sono degli aristocratici.
Diane Arbus
Le ambientazioni in cui i freaks vengono fotografati sono del tutto normali : stanze d’albergo, appartamenti e luoghi dove non c’è traccia di esperienze traumatiche o violente.
E’ vita normale.
Ad aggiungere normalità alle figure rappresentate c’è ancora un altro aspetto: i soggetti guardano sempre in macchina in una posa frontale.
Nell’estetica del ritratto fotografico , guardare in macchina conferisce solennità e franchezza al soggetto.
Susan Sontag nel suo “Sulla Fotografia” osserva che la Arbus cerca di dimostrare che si possono guardare in faccia e senza ripugnanza gli orrori della vita.
Ed è questa sfrontatezza verso l’obiettivo che fa sembrare ancora più strani i suoi soggetti.
Mettiamo a confronto le foto di due donne con velletta, una di Lartigue del 1912 e una della Arbus :
Il soggetto della Arbus appare strano perché brutto e guarda in macchina; la donna di Lartigue è tipicamente bella e se guardasse indietro apparirebbe altrettanto strana.
La Sontag nota che le intenzioni della Arbus erano in linea con la tendenza capitalistica allora in voga di eliminare, o quantomeno attenuare, il disgusto sensoriale e morale.
E il tipo di ripresa dello scatto frontale è il contrario dello scatto rubato. La Arbus ha dovuto quindi “fare amicizia” con i suoi freaks.

Questa foto non è irrispettosa della condizione delle due donne ritratte, anzi : analizzata tramite le vere intenzioni della Arbus, la foto vuole davvero ritrarre la possibilità di un “benessere altro” appartenente ad un mondo lontano dal nostro, ma non per questo meno significativo.

La foto del gigante ebreo è significativa perché, in un gioco di proporzioni, sembra quasi che siano i genitori ad essere affetti da nanismo.
La parte “normale” che diventa Freak: il loro apparente nanismo che stride con la formalità degli abiti e dell’atteggiamento nei confronti del figlio.

Trovo che sia l’intimità della scena a rendere interessante questa fotografia. Il nano è ritratto coperto solo da un asciugamano nella sua stanza d’albergo, con delle bottiglie in primo piano ed un cappello che rende il tutto un po’ grottesco.
Rappresenta tutte le intenzioni della Arbus : la fierezza di un freak nel vivere la propria vita e la propria intimità.
Diane Arbus e la stranezza della normalità
La Arbus ha detto:
C’è sempre una differenza tra quel che vogliamo si sappia di noi e quello che non possiamo evitare si sappia di noi; è la distanza tra l’intenzione e l’effetto.
Ed è proprio lo spazio che riempie quella distanza che Diane cerca quando fotografa le persone normali. E trova sempre il modo di far trasparire quello non si può evitare si sappia di loro.
Riesce a comunicare le deformità sulla superficie luccicante di una vita borghese che si vorrebbe impeccabile.
Il contrario di quello che abbiamo visto fare con i Freaks, ritratti a testimoniare la normalità delle loro vite contenute in corpi deformi.

Diane Arbus incontra in Central Park questo bambino che giocava con la sua bomba di plastica.
Inizia a girargli intorno e gli chiede di mettersi in posa da diverse angolature.

Alla fine il bambino, che in quanto bambino non aveva altro scopo che tornare a giocare indisturbato, si spazientì. E si irrigidì in una posa quasi “da mostro”, una mano ad artiglio e l’altra che tiene la bomba, di sicuro non l’espressione tipica di un bambino che gioca in un parco…
E poi quella bretella venuta giù : il punctum (per dirla alla Barthes) della fotografia, quel particolare fuori posto che ti colpisce e ti costringe a guardare.
Il bambino si chiamava Colin Wood ed era figlio del tennista Sidney Wood, vincitore a Wimbledon nel 1931, ma questo la Arbus non lo sapeva.
In un’intervista successiva Colin ricorda che l’espressione che assunse in quella foto era quella dei personaggi di guerra dei suoi film preferiti.
Aggiunse ancora che stava passando il periodo più difficile della sua infanzia a causa della separazione dei genitori. Riconosce in quella foto l’infelicità dei suoi giorni.

Negli anni delle manifestazioni pro Vietnam, Diane Arbus preferisce fotografare i singoli soggetti di quegli eventi.
La faccia pulita, la giovane età, la paglietta : tutto sembra essere espressione di normalità nella foto che vediamo in alto.
Il ragazzo coi suoi bei vestiti è sinonimo di innocenza.
Ma sono i simboli che porta addosso che arrivano come uno schiaffo : la spilla Bomb Hanoi, il distintivo a sostegno dei militari in Viet Nam e la bandiera americana come sponsor ufficiale all’inganno della narrazione della guerra.

In quest’altra fotografia il flash potente rende quasi mostruosa l’acne del ragazzo e la spilla “I’m proud” insieme alla bandiera americana contestualizzano la sua appartenenza alla manifestazione.
In queste due foto c’è un corteo ma non si vede : è sintetizzato nei dettagli dei due ragazzi. La loro partecipazione alla causa sembra però essere forzata.

Quella delle “Gemelle identiche” è forse una delle fotografie di Diane Arbus più celebri.
C’è molto dell’estetica dell’autrice in questo scatto : l’apparente normalità dietro cui si nasconde il particolare inquietante.
Due gemelle : stesso vestito, stessa fascia nei capelli, stessa posa.
A rafforzare l’idea di identità, nella parte centrale il braccio di una delle due copre quello dell’altra, quasi a sembrare siamesi. Prima sensazione di inquietudine.
Ma dopo questa illusione di somiglianza, ci sono le differenze.
Una sorride, l’altra no; i colletti bianchi hanno una forma diversa, le braccia non hanno la stessa lunghezza, la trama delle calze non è la stessa…
Diane Arbus nega qualsiasi tipo di contestualizzazione decidendo di non fotografare l’ambiente circostante : solo una parete bianca e un accenno del selciato in basso.
Non è un caso se questa foto è stata citata in una delle scene più inquietanti della storia del cinema :
Le due gemelle del film Shining di Stanley Kubrick, uccise in una stanza dell’Overlook Hotel e che compaiono al povero Danny mentre gira col suo triciclo tra i corridoi dell’albergo…
E come se non bastasse, per aggiungere inquietudine alla scena, Kubrick fa dire alle gemelle :
“Ciao Danny, vieni a giocare con noi?”.

Questa foto non è tra le più famose di Diane Arbus eppure mi ha sempre inquietato.
Il contesto è di una rilassata normalità, due persone borghesi che ballano.
Eppure ci sono dei dettagli di lui che me lo fanno sembrare un mostro : gli incisivi ingialliti, l’ostentazione del sorriso e il grosso anello al mignolo. L’imperfezione fotografica del riflesso nella lente destra.
Lei, dietro la sua espressione divertita, sembra chiedere aiuto.

Anche questa fotografia ha lo stesso messaggio. Un uomo borghese ad un ballo, in un posto in cui dovrebbe divertirsi e stare bene.
Diane Arbus fotografa il suo disagio attraverso gli occhi spenti che si intravedono dietro la maschera, l’uomo non esprime vita ma distacco. Anche lui vorrebbe essere altrove. Tutto questo in uno scatto semplicissimo, immediato.
Solo i grandi autori riescono a comunicare con immediatezza e apparente semplicità.
La biografia (in breve) di Diane Arbus
Ripercorriamo insieme alcuni passaggi della vita di Diane Arbus, attraverso cui capire meglio alcuni aspetti del suo modo di fotografare.
Nasce a New York nel 1923 in una famiglia talmente benestante da non risentire neanche della crisi del 1929.
I suoi genitori sono proprietari del Russek, un magazzino di moda femminile e pellicce sulla quinta strada. Diane frequenta le scuole migliori e cresce in una realtà ovattata, lontana da tutto quello che di inquietante può riservare una città come New York.
E’ questo il mondo che non gli permette di “conoscere l’avversità” e che la consegna a vivere in un senso di irrealtà che, come abbiamo visto, le procurerà dolore.
Allan Arbus e le prime fotografie
Appena quattordicenne, Diane Arbus inizia una relazione con Allan Arbus, di 4 anni più grande di lei e dipendente dei magazzini Russek. La famiglia di Diane non è favorevole a questo rapporto ma i due si sposano dopo poco tempo, forti della passione e degli interessi comuni.
Uno tra questi è la fotografia : mettono su uno studio iniziando a realizzare foto pubblicitarie per l’azienda di famiglia. Allan è il fotografo e Diane la Stylist dei set fotografici.
All’eta di 22 anni Diane dà alla luce la sua prima figlia.
La perizia con cui vengono realizzati i servizi fotografici (costosi e con lunghi tempi di consegna) fanno dello studio Arbus un punto di riferimento per molte riviste di moda come Glamour e Vogue.
In questi anni Diane Arbus avrà le sue prime forme depressive, che l’accompagneranno per tutta la vita.
In parallelo all’attività dello studio Diane inizia a fare foto “personali”, non legate al lavoro. A 31 anni nasce la sua seconda figlia e la fotografia di moda inizia a non interessarle più.
Anche i rapporti con Allan iniziano ad incrinarsi.
Lisette Model e un nuovo modo di fotografare
Durante questo periodo di allontanamento dalla fotografia di studio e patinata, Diane fa un incontro che cambierà per sempre il suo modo di fotografare. Si iscrive ad un corso della fotografa Lisette Model da cui apprende un insegnamento fondamentale.
Lisette Model intendeva la macchina fotografica come uno strumento di indagine, attraverso cui rivelare quello che le abitudini spesso nascondono. I suoi soggetti preferiti erano frequentatori di night club e gente di strada.
E’ a questo punto della sua vita che inizia la produzione artistica di Diane Arbus che tutti conosciamo. Gli aspetti su cui tutto verterà sono già maturi :
- il distacco dalla vita borghese molto protettiva e la ricerca di quella New York che non le avevano mai fatto vedere;
- Il distacco tecnico dalla fotografia di studio e costruita dei set della moda, a favore di una fotografia spontanea e quasi senza composizione che ponga l’attenzione su aspetti più intimi;
- la volontà di esprimere il significato nascosto dei suoi soggetti, grazie alla lezione di Lisette Model.
Abbandona del tutto il mondo della moda e il marito e va a vivere con le sue due figlie. Alcuni giornali le commissionano articoli in cui finalmente può far conciliare il lavoro con la propria passione personale.
L’Esquire le chiede di realizzare “la vita di New York in sei fotografie” e così Diane inizia quel percorso quasi antropologico sui newyorkesi che non abbandonerà praticamente mai più.
E’ il periodo in cui inizia a conoscere droghe, psicofarmaci e depressione, ma era pur sempre un’artista nella New York degli anni sessanta. Sceglie un itinerario professionale e artistico non tradizionale e non rassicurante.
Inizia ad essere conosciuta e nel 1967 il MOMA accoglie una sua prima personale; sono gli anni in cui inizia anche ad insegnare.
Tra alti e bassi, lavori di successo e altri ritenuti “non pubblicabili”, Diane Arbus si toglie la vita nel 1971, la notte tra il 26 e il 27 luglio. Viene ritrovata morta due giorni dopo nella sua vasca da bagno.
La sua retrospettiva di 112 fotografie organizzata al MOMA di New York nel 1972 attirò folle oceaniche.
Conclusioni
Spero ti sia piaciuto questo viaggio all’interno della vita e dell’estetica di Diane Arbus.
Quando si conosce un grande autore, la cosa più importante è capire quale è stato l’utilizzo che ha fatto della fotografia e quali significati è riuscito a dare alla propria opera.
Rivediamo insieme gli aspetti più importanti che abbiamo imparato su Diane Arbus :
- la fotografia rappresenta per lei l’emancipazione da una vita di perfetta figlia, moglie e madre di famiglia americana;
- attraverso le sue foto ha dato dignità ai “diversi” e ha rivelato le atrocità nascoste dietro la vita borghese dei “normali”;
- il suo stile fotografico è maturato dalla volontà di distaccarsi dalla fotografia patinata e di studio; la sua “ruvidezza” si sposa a pieno con il contesto dei soggetti ritratti.
Adesso penso di poterlo dire con maggiore consapevolezza : “Diane Arbus è una fotografa pazzesca”.
E tu, cosa ne pensi delle sue fotografie?
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