“Quando cominci a mettere la macchina fotografica sul cavalletto, allora il mondo cambia”, dice Massimo Vitali.
E lui questa cosa l’ha capita a cinquant’anni.
Deve essere meraviglioso sperimentare cambiamenti ad una età in cui la maggior parte di noi non mette più nulla in discussione.
Per un fotografo, cambiare significa trovare nuovi soggetti, raccontarli in modo diverso, inventare nuovi significati.
E a Massimo Vitali è bastato mettere la macchina fotografica sul cavalletto – e questo è avvenuto per via di un evento fortuito.
Allo stesso modo, cioè per puro caso, io ho sentito parlare per la prima volta di lui e non si discuteva di fotografie ma di una casa, costruita dove una volta c’era una chiesa.
E da quel momento Massimo Vitali è diventato per me un grande fotografo da cui trarre ispirazione.
Seguimi e ti racconto come è andata…
Come ho scoperto Massimo Vitali
Un giorno stavo navigando su uno dei mie siti web preferiti, Nowness, nella sezione “In my place”, in cui diversi artisti presentano le loro abitazioni. Ricordo di essere stato incuriosito da questo fotografo italiano di cui fino ad allora non avevo mai sentito parlare : Massimo Vitali.
La sua casa di Lucca è ricavata in una chiesa del XIV secolo in cui sono stati conservati i muri e i soffitti originali e aggiunti degli elementi per renderla abitabile. Praticamente un enorme, altissimo Loft.
Il video di Nowness è come al solito meraviglioso e mostra la casa di Vitali in tutto il suo splendore. Rimasi folgorato all’istante.
E allora mi sono detto : uno che vive in una casa così, merita tutta la mia attenzione. E ho cominciato a scoprire molte cose interessanti su di lui e, soprattutto, ho scoperto le sue fotografie.
Massimo Vitali, classe 1944, riceve in regalo la sua prima macchina fotografica a 12 anni.
A metà degli anni 50 era un regalo di una certa importanza e l’interesse per la Fotografia nasce subito, tanto da fargli decidere di frequentare dopo il liceo la School of Printing di Londra.
Inizia la carriera di fotografo di reportage senza che questo faccia mai scoccare la scintilla che trasforma un lavoro in passione.
Si occupa anche di cinema come direttore della fotografia ma con scarsi risultati, per sua stessa ammissione.
Poi arriva quell’evento fortuito, tutto cambia e Massimo Vitali inizia a mettere la macchina fotografica sul cavalletto…
Massimo Vitali e il furto delle macchine fotografiche
L’episodio che ha cambiato la vita di Massimo Vitali risale a metà degli anni 90 : gli vengono rubate dall’automobile quasi tutte le sue macchine fotografiche, lasciandogli solo un banco ottico 20×25.
Decise allora di iniziarsi ad esprimere secondo i ritmi di quell’unica attrezzatura che gli era rimasta. Già da un po’ di tempo Massimo non era più attratto dal reportage e desiderava una fotografia “più lenta e più pensata”. Non c’è niente di meglio di un banco ottico e del suo cavalletto per sperimentare un approccio di questo tipo.
Ma cosa fotografare?
Era il 1994, l’anno in cui qualcuno aveva deciso di scendere in campo : Silvio Berlusconi aveva appena vinto le elezioni e Massimo Vitali voleva guardare in faccia le persone che lo avevano votato.
Decise allora di scendere in spiaggia con un’attenzione antropologica sull’avvenimento.
Per avere uno sguardo di insieme su quello che accade in una spiaggia affollata è necessario stare più in alto del livello della sabbia e guardare oltre le prime file.
Un suo amico gli costruisce una struttura rialzata di circa 3 metri da cui avere una nuova prospettiva sulle cose.
Con la macchina sul cavalletto, il cavalletto su una struttura rialzata e assomigliando più a un bagnino che a un fotografo, inizia la serie delle fotografie delle spiagge.
Scocca finalmente quella scintilla da tempo attesa : Massimo Vitali inizia a realizzare le foto che desidera.




L’estetica di Massimo Vitali
Da cosa si riconosce una foto di Massimo Vitali?




Principalmente da 3 cose:
- le stampe di grande formato;
- l’altissima risoluzione e la visibilità dei dettagli;
- un utilizzo dei colori molto personale.
Il grande formato delle stampe e la risoluzione dei dettagli non sono un vezzo tecnico ma una necessità.




Nel reportage tutta l’attenzione è concentrata su un soggetto principale, e questo è l’aspetto che più di tutti non piace a Massimo Vitali di questo tipo di fotografia.
La vita è fatta anche da tutte quelle cose minori che succedono a lato dei fatti importanti e che vanno raccontate come momenti complessi in cui succedono più cose.
E dato che si passa dalla rappresentazione di un fatto particolare a quella di tanti fatti allora c’è bisogno di un’enorme profondità di campo per catturare più cose, più persone.
I dettagli della fotografia vanno osservati lentamente, la scena deve essere stratificata e nell’enorme profondità di campo tutto deve essere leggibile.
Il grande formato e la cura dei dettagli non sono una prova di forza tecnica ma sono necessari al messaggio da trasmettere.
Massimo Vitali e l’attrezzatura
Dopo il furto delle macchine fotografiche il caso ha voluto che Massimo Vitali rimanesse solo con un grande formato. Questa necessità ha stimolato un nuovo tipo di fotografia e adesso le due cose si sostengono l’un l’altra.
Come già detto nelle foto di Massimo Vitali è particolarmente significativo l’utilizzo dei colori, molto caratteristico nelle foto delle spiagge.
Non ci sono ombre e la luce è molto dura, quel tipo di luce che nessun manuale di fotografia ti consiglierebbe mai di utilizzare.
Tutto questo fa in modo che non ci siano particolari contrasti.
Il contrasto sottolinea parti della scena e quello che vuole Vitali è invece una rappresentazione democratica di ognuna delle figure coinvolte, senza che nessuna predomini su un’altra.
E’ la coralità dei soggetti a diventare l’ingrediente principale della fotografia.
Come abbiamo visto, l’attrezzatura è funzionale al messaggio che si vuole trasmettere e questo è l’unico modo sano di rapportarsi con la propria macchina fotografica.
Anche oggi che è passato al digitale, Massimo Vitali utilizza un tipo di macchina fotografica che gli permette di ottenere gli ingrandimenti e i dettagli di cui ha bisogno.
E’ una medio formato digitale da 150 milioni di pixel un tipo di macchina di cui personalmente non conoscevo nemmeno l’esistenza.




Massimo Vitali e la scuola tedesca
L’estetica di Massimo Vitali credo possa essere avvicinata alla scuola di Dusseldorf.
Lo stesso Vitali riconosce che questo movimento è stato responsabile dello strappo della fotografia da alcuni canoni tradizionali e dell’avvicinamento verso il linguaggio dell’arte contemporanea, che è l’ambiente in cui Vitali si muove ormai da diversi anni.
La scuola tedesca, fondata dai coniugi Becher, ha iniziato una fotografia diversa, sicuramente di difficile lettura, noiosa se vogliamo ma ha avuto la funzione di elevarla quasi al livello della scultura.
Ho trovato particolarmente vicine al modo di intendere la fotografia di Massimo Vitali, le osservazioni che Andreas Gursky ha fatto di una sua opera.
In termini di visibilità e quotazione delle opere, Andreas Gursky rappresenta ad oggi il maggior esponente della fotografia all’interno del circuito dell’arte contemporanea.




Andreas Gursky scatta questa foto nel 1984 durante una vacanza in Svizzera.
Sei mesi più tardi, mentre sviluppa il negativo, fu sorpreso di trovare sparse lungo il paesaggio minuscole figure di escursionisti che lui stesso non aveva notato durante lo scatto, ma che la macchina fotografica aveva registrato.
Ha così riscoperto una delle più semplici gioie della fotografia: quella di ritrovare mentre si osserva la foto quei particolari di cui non ci eravamo accorti e che non avevamo avuto intenzione di catturare.
Seduti in poltrona ci godiamo “l’illusione dell’onniscenza” (come dice Peter Galassi), l’ingresso in un mondo inaccessibile a nessun partecipante della scena.
La realtà è più complessa e stratificata di quello che vediamo, i dettagli sono rivelati dal grande formato e dall’enorme profondità di campo.
Una fotografia “infinita”.
Molto simile a quello che avevamo detto di Massimo Vitali, non trovi?
Anche se il paragone va preso con la dovuta cautela.
Ci sono una spiaggia, un italiano e un tedesco…
Vitali si ispira alla scuola tedesca ma si lascia alle spalle le sue costrizioni, da buon italiano ha capito che bisogna essere vicino alle persone che si fotografano.
Nonostante il suo cavalletto sia a tre metri dalla sabbia è comunque nel punto più vicino possibile alla gente per realizzare dei veri e propri ritratti a distanza.
Ecco una foto a una spiaggia della Riviera Adriatica fatta da un italiano :




Ecco quella fatta da un tedesco:




Queste due foto, apparentemente così simili, in realtà presentano significative differenze.
La foto di Gursky ha intenzioni paesaggistiche, quella di Vitali ha più carattere antropologico ed è più umana e dinamica.
Le fotografie, in generale, sono costituite da un gran numero di idee e sentimenti, molti dei quali derivano dal background culturale dell’autore.
Un italiano ha visto più colori, sentito più sapori e parlato con più persone rispetto ad un tedesco. Messi di fronte ad una spiaggia i due la interpreteranno per forza di cose in maniera diversa.
Massimo Vitali la fotografa da italiano riuscendo a trasmettere quasi il caldo soffocante, il fastidio della sabbia arroventata sotto i piedi.
Ma lo fa in maniera analitica e distaccata, come ha imparato dai tedeschi, senza sottolineare nessuno dei centinaia di piccoli eventi che stanno accadendo sotto il sole, ma facendoli vedere tutti.
E poi quell’azzurro chiaro, di cui in Gursky non c’è traccia.
Massimo Vitali e l’istante decisivo
Quando Massimo Vitali sceglie un luogo per le sue fotografie lo fa perché intuisce che proprio lì le persone andranno a disporsi in una determinata maniera.
Vitali non ama inquadrare attraverso la macchina fotografica.
Dopo aver posizionato il suo cavalletto, guarda in macchina per capire qual è l’angolazione di ripresa e poi osserva la realtà direttamente con i suoi occhi, e aspetta.
Aspetta che le persone si dispongano in un determinato modo, intuisce quelle forme particolari che ricordino qualcosa.
Lo spettatore prova un conforto inconscio nel ritrovare quelle forme all’interno di scene che sono paradigma del caos, come una spiaggia domenicale o un concerto.
E’ come se Massimo Vitali cercasse il suo momento decisivo non catturandolo rapidamente come faceva Cartier-Bresson, ma intuendo prima una situazione in cui potrebbe succedere qualcosa, quindi piazzandosi lentamente e infine aspettandolo con pazienza.




Massimo Vitali e l’arte contemporanea
Dopo aver trovato il suo modo di fotografare a metà degli anni 90 e all’età di 50 anni, Massimo Vitali è stato accolto nel circuito dell’arte contemporanea. Un mondo strano che conosco poco e che mi affascina molto, soprattutto per quell’alone di mistero che si nasconde dietro quelle opere dai significati misteriosi.
Massimo Vitali è in questo circuito e ne segue le regole : pubblica un determinato numero di foto ogni anno, ha saputo costruire una sua riconoscibilità, produce pezzi a tiratura limitata.
Qualche anno fa una sua foto conquistò il record di fotografia più costosa venduta da un fotografo italiano.
Non so se questo primato sia ancora il suo, fatto è che il prezzo di una foto di Massimo Vitali si aggira sull’ordine delle decine di migliaia di euro.
Giusto per avere un paragone, c’è chi vende a molto di più . In questo momento è proprio Gursky ad avere il record di foto più costosa mai venduta con i 4,3 milioni dollari della sua Rhein ii.
Ma non ne facciamo solo una questione prezzo, stiamo parlando di altro…




Massimo Vitali nella mia città
Come per caso un giorno ho scoperto Massimo Vitali guardando un video che parlava della sua casa, così per caso mi sono imbattuto in una delle sue fotografie che mi ha immediatamente rapito.




La foto è scattata al Parco Dora di Torino, durante il Kappa Futur Festival del 2018, un evento di musica elettronica a cui ho partecipato un paio di volte ma che, soprattutto, si trova a due passi da casa mia.
Credo che il Parco Dora sia il posto al mondo in cui ho scattato più fotografie. La location è post industriale e si trova dove una volta c’erano le Ferriere Fiat, storiche fabbriche siderurgiche torinesi legate alla madre di tutte le fabbriche.
Tutto il parco è disseminato di piloni in acciaio dipinti di rosso e l’area più imponente (quella della foto) conserva ancora la copertura : tra l’altro si chiama “lotto Vitali”, come il nome della fabbrica che lì sorgeva, chissà se il nostro Massimo lo sapeva…
Oltre a tantissime foto, è il posto in cui vado a correre e in cui negli anni avrò percorso centinaia di chilometri : ecco perché sono stato rapito dalla fotografia di Vitali, perché quel paesaggio è una parte forte del mio immaginario.
C’è sempre gente al Parco Dora e quando non ci sono festival di musica elettronica, sotto il tetto dell’enorme campata dell’acciaieria si gioca a calcio, a pallavolo e si va in skate : un paradiso per i fotografi.




Di tutte le foto che ho fatto mi piace farvene vedere una tra le più originali che ho, in cui la mia ombra lunga ritrae un insolita area completamente deserta durante il primo lockdown del 2020 :




Riuscirò a vedere la mostra di Massimo Vitali?
E’ appena passato un anno da questa foto e il lockdown c’è ancora ma in forma più lieve : si può uscire di casa per andare a lavorare ma i musei sono ancora chiusi perché l’importante è mandare avanti l’economia…
E in questa situazione c’è un dubbio che mi attanaglia.
La mostra “Costellazioni Umane” di Massimo Vitali era prevista al Museo Ettore Fico di Torino fino al 20 dicembre 2020 ed è stata sospesa causa Covid durante lo stesso mese di dicembre: sarà stata prorogata e riuscirò a vederla quando usciremo da questa infinita zona rossa?
Quelle enormi fotografie stanno aspettando la riapertura dentro il museo e quindi a poca distanza fisica da me?
Se così fosse la andrò a vedere e aggiungerò una sezione a questo post.
Altrimenti sarai già arrivato alla fine di questo articolo.
Massimo Vitali : Costellazioni Umane
Ebbene sì : fortunatamente posso riprendere la scrittura di questo articolo per parlarvi di quella mostra che temevo fosse andata via.
E invece era ancora lì.
Prorogata fino a fine giugno, la mostra Costellazioni Umane al Museo Ettori Fico di Torino è stata la prima che ho visitato dopo mesi di astinenza forzata da lock down.




Visitare mostre fotografiche è una della cose che mi piace veramente nella vita.
E se dovessi definire in una parola l’esperienza di vedere le fotografie di Vitali dal vivo, questa parola sarebbe : immersività.
Viene naturale cercare un viso, un corpo, un dettaglio qualsiasi che assomigli a qualcosa che ci è familiare.
Mentre percorri quei pochi metri che ti separano da quelle enormi stampe si compie un viaggio che ad ogni passo svela qualcosa in più, una continua ricompensa.




Fino a che non ti ritrovi con il naso a pochi centimetri dal vetro e ti sembra quasi di cadere in quel mare quasi bianco o tra le braccia di quelle folle oceaniche.




E cosa vedi?
Dei dettagli tanto nitidi da lasciarti sbalordito : in questa spiaggia di Rosignano (ma potrebbe essere qualsiasi altra spiaggia) io vedo i ritratti delle figure in primo piano e di quelle sullo sfondo.
Riesco a scorgere, in cima alla linea azzurra dell’orizzonte, una piccola barca a vela.
Un’esperienza infinita, da scoprire con calma.




Nell’universo dei piccolissimi dettagli a volte capita di scoprire anche annunci di chi si rende disponibile alle più svariate attività.




Questione di pittoricità
Il grande formato mette in evidenza anche l’effetto pittorico di queste fotografie.
E questo sembrare dei quadri non è limitato al colpo d’occhio generale che hai appena te le trovi davanti.
Durante l’immersione nei loro dettagli spesso si ritrovano dei tratti delle stampe che sembrano quasi delle pennellate.
Guarda ad esempio questa:




Ora ti riporto due foto che ho fatto al dettaglio delle zone evidenziate :




Come vedi il mare sembra davvero disegnato dalla mano di un pittore.
E’ un effetto dovuto agli inchiostri durante la fase di stampa?
Oppure è un effetto voluto di post produzione?
Non lo so ma se dovessi scegliere mi piacerebbe pensare che si tratti della seconda alternativa.
La sensazione di far convivere il linguaggio antico e classico della pittura con quello tutto contemporaneo della fotografia non è soltanto un vezzo.
La postproduzione consegna alla fotografia la possibilità dell’invenzione che era propria della pittura; un altro aspetto che lega Massimo Vitali ai tedeschi della scuola di Dusseldorf.
Le foto del Kappa Futur Festival di Massimo Vitali
E alla fine, c’erano anche loro.
Ho già raccontato di come sia stato colpito da queste foto scoprendole in rete e avendole viste solo dallo schermo del mio pc.
Immagina le mie sensazioni di fronte al dittico del Kappa Futurfestival :




Ho già detto che di fronte a queste vere e proprie costellazioni umane viene naturale cercare un volto o un dettaglio che possa colpirti.
Non nascondo che in queste due fotografie ho cercato addirittura me stesso perché ricordo di essere andato ad una delle giornate di quella edizione. Ma non sono riuscito a trovarmi.
Ti lascio con questa foto.
Quello sulla destra sono io che guardo una delle due foto del Kappa Futurfestival.
La fotografia mi ha ricordato la serie di Thomas Struth fatte nei musei.




Il significato di quelle fotografie era il dialogo tra l’opera e lo spettatore, in cui l’opera d’arte perdeva la sua aura sacrale e diventava parte del contesto temporale del presente.
E le foto di Massimo Vitali sono proprio questo .
Esprimono il nostro tempo non mostrandoci eventi storici particolari ma fatti generici in cui avviene il riconoscimento da parte dello spettatore : andare in spiaggia, ad un concerto, in discoteca.
L’opera interagisce con chi la guarda.
E dopo aver visto questa mostra posso confermare la volontà di partecipazione alle fotografie che ti assale mentre le guardi.
Le foto di un posto per me molto familiare (il parco Dora), io ripreso in una fotografia in cui guardo quelle fotografie, questa stessa fotografia che ricorda il lavoro di uno dei più grandi esponenti della scuola di Dusseldorf.
Chiudo questo post con questo corto circuito di cose, non potendo che consigliare di cercare la mostra di Massimo Vitali più vicina al posto in cui vivi per andarla a vedere.
Perché nessun libro, nessun post e nessuna foto sul web può sostituire quel coinvolgente senso di partecipazione che ho provato nel sentirmi partecipe di queste costellazioni umane.




Ti è venuta voglia di scoprire questo grande fotografo?
Adoro Massimo Vitali.
Grazie per questo bell’articolo.
Bell’articolo, grazie!
Ha un nome in particolare questa tecnica della foto molto “chiara”? (“chiara” giusto per riassumere e sintetizzare al massimo e capire a cosa ci di riferisce)