Fra i tanti fotografi leggendari che hanno contribuito a definire e cambiare il panorama della fotografia nel corso del XX secolo, Richard Avedon si distingue come uno dei più influenti e iconici.
A testimonianza della sua importanza c’è da notare che il nome di Avedon mette d’accordo tutti.
Esponenti della fotografia di moda, di quella sperimentale e comunque di generi diversi da quelli esplorati dallo stesso Avedon, trovano nelle sue fotografie qualcosa che va oltre “il mestiere” e tocca delle corde più profonde.
Questo post approfondirà il lavoro di Richard Avedon, esaminando il suo impatto sulla fotografia di moda, il ritratto e la fotografia documentaria.
Richard Avedon e la fotografia di moda
Parigi nel secondo dopoguerra, era una città speciale e un posto speciale in cui stare.
Ad ogni angolo delle strade si respirava tutta l’energia rilasciata dalla consapevolezza che gli orrori della Seconda Guerra Mondiale erano ormai finiti.
Quando arrivavi in aeroporto potevi comprare una bottiglia di champagne, salire su uno di quei taxi che avevano i tetti aperti e stare in piedi per tutto il viaggio bevendo lo champagne dalla bottiglia, aspettando di vedere la Tour Eiffel.
Richard Avedon arrivò a Parigi nel 1946 ad appena 23 anni e si trovò a vivere tutto quel folle entusiasmo.
Arrivava diretto dagli Stati Uniti e dal suo primo incarico alla Marina Mercantile come fotografo.
Quel lavoro consisteva nel fare le fotografie per i documenti delle giovani reclute (praticamente delle fototessera) e il nostro Richard ne realizzò migliaia.
Col senno di poi potremmo dire che quello fu il suo primo approccio alla ritrattistica che sarebbe poi diventato una delle sue maggiori specialità.
Henry Cartier-Bresson diceva : ” Le prime 10.000 foto sono le peggiori”, e probabilmente i suoi primi 10.000 ritratti Richard Avedon li aveva già fatti quando aveva poco più che vent’anni.
Lasciata la sua famiglia negli Stati Uniti, a Parigi ne trovò un’altra pronta ad accoglierlo e a lanciarlo nel mondo della moda.
Parigi e le riviste di moda
Il suo nuovo padre artistico, Alexey Brodovitch, era un genio della grafica e art director di Harper’s Bazaar, che diede alla rivista un nuovo respiro imprimendo dinamica alle copertine e alle fotografie.
Richard Avedon potè anche godere dell’umanità della direttrice Carmel Snow e dell’eccentricità di Diana Vreeland, la fashion editor, che gli insegnò a cercare l’ispirazione nei posti più impensati.
Nelle fotografie che Avedon realizzò in quegli anni per Harper’s Bazaar ci sono tutta la leggerezza e l’eleganza che imparò da quei suoi primi maestri.
Non si dormiva quasi mai a Parigi in quegli anni. Magari lavoravi per 24 ore di fila e poi andavi a ballare.
E dopo quelle interminabili notti, il giovane Richard Avedon vagava ancora per la città preoccupato dalle fotografie che aveva ancora da scattare.
I suoi set fotografici erano dei veri e propri balli, quasi a rievocare la febbrile confusione delle notti da cui erano stati appena preceduti.
Il fotografo partecipava con la sua Rolleiflex al ballo e le modelle reagivano di riflesso, danzando anche loro.


Un riferimento importante
Nessuno aveva mai visto niente di simile alle foto di Avedon di quel periodo : le strade sembravano esplodere dalla pagina, tutta quella vitalità aveva un grande valore culturale.
Era la celebrazione di una società con una gran voglia di rinascere e rinnovarsi.
A dire il vero, Richard Avedon non fu il primo ad intendere in quel modo la fotografia di moda.
Martin Munkacsi, non a caso grande ispiratore di Avedon, aveva già qualche anno prima dato movimento alle modelle. e non imparò quel dinamismo solo dai suoi nuovi maestri parigini
A testimonianza di questo, Avedon decise di rendergli omaggio citando in una sua fotografia una delle pose più celebri di Munkacsi:


Richard Avedon : Dovima con gli elefanti
A proposito di movimento, Dovima con gli elefanti è come se ritraesse una passo di danza.

Il contrasto con gli animali riguarda ogni cosa : la loro lentezza, la pesantezza e quelle enormi zampe in catene fanno da cornice alla lievità e all’eleganza di Dovima.
Eppure sembrano danzare insieme a lei.
La sua posa, che forma una grande Y, sembra aver portato fortuna al giovane assistente della Maison Dior che disegnò quel meraviglioso abito : aveva solo diciannove anni e si chiamava Yves Saint Laurent.
A proposito di questa fotografia, lo stesso Avedon racconta che per lui rappresenterà sempre un fallimento. Ogni volta che la riguarda si chiede perché la fascia bianca del vestito non si allarghi completamente a sinistra, a completare la linea della foto.
Quando si dice: non accontentarsi…
I ritratti di Richard Avedon
Andare oltre la superficie, portare alla luce la personalità del soggetto : è questo l’approccio fotografico di Richard Avedon nei confronti dei ritratti, che diventerà immortale.
I soggetti vengono fotografati con le loro debolezze e imperfezioni , colti alla sprovvista per mettere in luce quel tratto invisibile che nasconde una verità interiore.
Spesso era lo stesso Avedon a creare dei veri e propri inganni per poter riuscire ad ottenere l’onestà dai suoi soggetti.
Come quando, durante un servizio fotografico in studio, Marilyn Monroe gli chiese : “Ci siamo?”
E Avedon rispose : “Non ancora”.
Fu allora che Marlilyn distolse lo sguardo dall’obiettivo e in un attimo non fu la più famosa attrice del mondo nel bel mezzo di un servizio fotografico.
Diventò una donna qualsiasi che mostrava uno spigolo della sua anima in un momento in cui aveva la guardia abbassata.

O come quando, alle prese con i Duchi di Windsor nella loro suite al Waldorf Astoria di New York, raccontò che il suo taxi aveva appena ucciso un cane.
Fu lì che i due duchi abbandonarono le loro pose da copertina e assomigliarono di più a quelle persone con un’anima tormentata, che aveva visto ripetute volte giocare d’azzardo al casinò di Nizza.
L’amore che avevano dimostrato per i loro carlini durante il set fotografico diede spunto ad Avedon per produrre in loro una sorta di improvvisa tristezza.

Richard Avedon cercava nei suoi ritratti di cogliere le contraddizioni delle personalità dei suoi soggetti.
Un altro esempio dell’originalità dei suoi ritratti è rappresentato da quello a Barbara Streisand del 1965.
Ci sono diversi modi in cui un fotografo può esaltare o nascondere i tratti fisici di un soggetto.
Nel caso della Streisand, Richard Avedon decise di esaltare quello che tutti gli altri cercavano di nascondere o attenuare : il naso.
Non solo la foto è scattata di profilo, prospettiva che accentua la forma del naso, ma le viene chiesto di portare le dita alle narici per pizzicarsi il naso dall’alto.
Avedon riesce così a trasformare una debolezza della Streisand nel punctum del ritratto, il naso diventa il perno centrale di un’immagine straordinaria che restituisce forza al soggetto e lo riscatta da uno dei suoi punti deboli.

La potenza dei ritratti di Richard Avedon è senza dubbio accentuata dalla scelta dello sfondo bianco, che è diventata una costante della sua produzione.
I soggetti sono isolati, senza un contesto, soli.
Questa caratteristica estetica sarà la costante anche del suo lavoro documentario più grande, che sarà sempre incentrato sui ritratti ma realizzati ad un tipo di “americano” diverso da quello fotografato fino a quel momento.
Richard Avedon : In The American West
Nel 1979 Richard Avedon era il fotografo più famoso e più ricco del mondo e, a detta di molti, il più grande ritrattista della storia.
Con In the American West il fotografo aggiunge al ritratto dell’America fatto fino a quel momento un tipo di umanità lontana anni luce dal mondo della moda e dalla ritrattistica istituzionale.
Era il mondo dei lavoratori, degli emarginati, delle persone disperate che cercavano un lavoro nell’ormai inospitale West, lontani dalla narrazione dell’America Reaganiana di quegli anni.
Erano le persone comuni dell’ovest americano, ritratte in maniera cruda e senza fronzoli.
Questa serie ha offerto uno sguardo onesto e umano sulla realtà di questa regione, sfidando le rappresentazioni idealizzate dell’epoca.
Un altro aspetto importante di quelle persone era l’orgoglio e l’entusiasmo che dimostravano nel venire fotografati, al contrario dei personaggi famosi e dei politici che avevano una piatta abitudine alla posa.
In the American West : il progetto
Fu il curatore dell’Amon Carter Museum of American Art a credere in questo progetto di Avedon, producendo infine la mostra e il libro.
The American West è un lavoro fotografico enorme e a parlare sono i suoi numeri.
Ci sono volute sei estati, tutte quelle che vanno dal 1979 al 1984 per fotografare 752 persone su 17.000 fogli di pellicola Kodak 20×25.
Della selezione finale per la mostra fanno parte 123 fotografie che hanno richiesto un anno e mezzo di lavoro in camera oscura.

I negativi delle 123 foto selezionate sono conservati negli archivi del museo e su disposizioni di Avedon non potranno mai essere ristampati mentre tutti gli altri sono stati distrutti.
Esistono solo due serie delle 123 fotografie : una per la mostra al Amon Carter Museum e una per l’autore, che sarà quella utilizzata per le mostre successive in giro per il mondo.
Le stampe erano di grandezza oltre il reale e sono tutte su sfondo bianco.

Richard Avedon al lavoro in the American West
Nel libro Avedon at Work : In the American West di Laura Wilson viene raccontato il lavoro tecnico che fu alla base della produzione di In The American West. Il libro è in inglese ma davvero interessante.
Lo sfondo bianco di tutti i ritratti era ottenuto tramite una superficie di carta bianca larga circa tre metri e alta 2 fissata a una parete o un edificio, a volte sul fianco di un rimorchio.

Le fotografie venivano prodotte con una camera di grande formato posizionata su un cavalletto.
Avedon evitava la luce diretta perché non voleva che eventuali ombre potessero influire sulla direzione dello sguardo dello spettatore. La sorgente di luce doveva essere invisibile in modo da neutralizzare il ruolo dell’apparenza delle cose.
Richard Avedon durante lo scatto non guardava mai nell’obiettivo ma rimaneva in piedi accanto alla macchina, diversi centimetri a sinistra dell’obiettivo e a circa un metro e mezzo dal soggetto.

In questo modo non vedeva mai quello che la pellicola avrebbe registrato fino alla realizzazione della stampa e nulla era tra lui e il soggetto tranne quello che stava accadendo mentre si osservavano l’un l’altro.
Alcune foto erano addirittura costruite, come una delle più famose.
Ronald Fischer : beekeeper
Lo stesso Richard Avedon racconta che se la immaginò in sogno e dopo la disegnò : l’ha pensata proprio come un pittore pensa a ciò che vuole dipingere. Non sapeva però come realizzarla.
Mise allora degli annunci su riviste di apicoltura e disse che cercava qualcuno che doveva permettere alle api di far vivere il proprio corpo.
Si fece avanti Ronald Fischer che era un allevatore di api il cui corpo venne cosparso con il fluido dell’ape regina: dopo vennero liberate delle api confezionate.
Le api non lo avrebbero punto a meno che non si fosse mosso, perché sarebbero state infastidite da qualsiasi movimento del corpo di Ronald.

Il risultato è uno dei ritratti più particolari di tutta l’opera:

Ti lascio una piccola selezione di altri ritratti di In The American West : se non li avevi mai visti è l’occasione per farsi trasportare dalle emozioni.
Non preoccuparti se non li trovi da subito interessanti, la critica e il modo intero ebbero giudizi contrastanti su questa grande e monumentale opera documentaria.






Conclusioni
Richard Avedon è stato molto più di un semplice fotografo di moda.
La sua carriera eclettica e la sua capacità di esplorare diverse sfaccettature della fotografia, dal glamour della moda alla profondità del ritratto e all’onestà della fotografia documentaria, lo hanno reso un’icona della fotografia del XX secolo.
Il suo impatto continua a influenzare e ispirare fotografi di tutto il mondo, dimostrando che la fotografia può essere molto più di una semplice rappresentazione visiva, ma un mezzo per esplorare e comprendere il mondo e l’umanità stessa.
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