Sebastiao Salgado, oltre ad essere un grande fotografo, è di sicuro un grande uomo.
Solo chi decide di dedicare la propria vita con coerenza, ai grandi ideali che la animano, può ritenersi soddisfatto e rappresentare per gli altri un punto di riferimento.
E la vita di Sebastião Salgado è stata animata da due grandi passioni : testimoniare con la fotografia la condizione dell’uomo e quella del pianeta.
I suoi progetti, concepiti tutti assieme alla moglie Lélia, durano anni e prevedono lunghi viaggi lontano dalla famiglia e dalle comodità:
- Altre Americhe : in cui ha reso omaggio al Brasile, la sua terra di nascita;
- Sahel, la fine della strada : con cui ha fatto conoscere al mondo la sofferenza dovuta alla fame e alla siccità;
- Workers, la mano dell’uomo : che rappresenta “l’archeologia dell’era industriale”, in cui ha omaggiato tutti gli uomini che con il loro lavoro hanno costruito il mondo in cui viviamo;
- Exodus, in cammino : in cui racconta gli orrori delle migrazioni dei popoli dovute alle guerre piccole e grandi in giro per il mondo;
- Genesi : un omaggio al pianeta terra, in cui esplora la parte ancora incontaminata del mondo.
Un lavoro di omaggio e uno di denuncia, in perfetta alternanza, come un respiro.
Come se cercasse nuova forza dopo gli orrori visti.
Come se la soddisfazione di una celebrazione rappresentasse la risalita dal fondo di tanta sofferenza raccontata.
Ma per diventare un grande fotografo e un grande uomo è necessario fare delle scelte importanti.
Vediamo quali sono state quelle che hanno portato Sebastião Salgado a diventare il grande fotografo che oggi tutti conosciamo.
Mettiti comodo, si comincia.
Sebastião Salgado e la sua prima terra : il Brasile
Sebastião Salgado nasce ad Aimorés, un piccolo villaggio del Brasile, nel 1944.
E’ nella fazenda del padre, unico maschio tra sette sorelle, che formerà il suo primo sguardo sul mondo, circondato dalle foreste pluviali e protetto dai cieli immensi di quelle zone.
Ha solo 15 anni Sebastião quando prende il treno per Vitoria, la capitale dello stato, per andare a proseguire gli studi. Cosa sarebbero state la sua vita e la sua carriera di fotografo se in quegli anni non avesse incontrato Lélia?
Chi può dirlo. Sappiamo solo che fu amore a prima vista e che quando Sebastião si trasferì a studiare Economia a San Paolo grazie ad una borsa di studio, Lélia lo seguì e lì si sposarono.
In Brasile in quegli anni c’era una forte dittatura militare e Sebastião e Lélia erano molto impegnati politicamente a sinistra.
A causa di quelle forti tensioni sociali, nel 1969 decisero di abbandonare il Brasile e di continuare i propri studi, lui di economia, lei di architettura, in Europa, a Parigi.
Sebastiao Salgado ha 25 anni, abbiamo visto arrivare nella sua vita sua moglie Lélia e gli studi di economia : ma dov’è la fotografia?
I Salgado in Europa
A Parigi, in un giorno memorabile (ma chi avrebbe potuto saperlo?) Lélia compra una macchina fotografica.
Ma sarà Sebastião ad usarla di più e a portarla sempre con sè. Le prime fotografie che farà saranno proprio a Lélia.
Dopo la laurea, Sebastião trova lavoro a Londra nella World Bank e gli capita spesso di andare in Africa per seguire alcuni progetti di sviluppo.
La macchina fotografica rappresenta la sua compagna di viaggio più fedele ed è proprio in quegli anni che Sebastião inizia a fare un gran numero di fotografie.
Fu sempre allora che, insieme a Lélia, maturò la decisione più importante della loro vita.
Sebastião capì che era la fotografia la sua vera passione e allora decise di abbandonare una carriera da economista promettente e ben pagata.
Salgado entra così nel mondo della fotografia per pura passione : con Lélia si trasferisce di nuovo a Parigi e vendono tutto quello che hanno per acquistare attrezzatura fotografica.
Anche Lélia da quel momento dedicherà tutta la sua vita a promuovere e concepire i progetti fotografici del marito.
All’inizio Sebastião Salgado si dedicò a fotografia sportiva, di matrimoni e perfino di nudi.
Durante un viaggio in Nigeria del 1973 si trovò a raccontare di una grande siccità che stava colpendo il paese.
Capì in quell’occasione che documentare la condizione umana era la vera funzione della fotografia.




Nel 1974 nasce a Parigi il suo primo figlio Juliano.
Nello stesso periodo Sebastiao inizia a sentire nostalgia del Brasile in cui ormai non torna dal 1969 : è l’occasione per preparare il primo grande lavoro fotografico della sua carriera.
Concepito e curato insieme alla moglie Lélia (come tutti i progetti successivi), sarà un omaggio alla sua terra natia e lo porterà lontano da casa per diversi anni.
Sebastião Salgado : Altre Americhe (1977-1984)
Ascoltiamo dalle parole dello stesso Salgado, le motivazioni che lo spinsero ad intraprendere quel viaggio :
Quando ho cominciato questo lavoro, nel 1977, […] il mio unico desiderio era ritornare a casa mia, in quella amata America Latina […]. Armato di tutto un arsenale di chimere, decisi di tuffarmi nel cuore di quell’universo irreale, di queste Americhe latine così misteriose, sofferenti, eroiche e piene di nobiltà. Questo lavoro durò sette anni, o piuttosto sette secoli, per me, perché tornavo indietro nel tempo.
Sebastião Salgado




In Ecuador conobbe un giovane prete, Gabicio, che portava la parola di Dio in quelle comunità e si occupava anche della loro organizzazione sociale organizzandoli in cooperative.
Fu grazie a lui che potè girare molto e conoscere tanti popoli di quelle zone.
Viaggiò per grandissima parte del Brasile meridionale, era pazzo di Gioia nel poter vivere quei panorami e conoscere quelle persone.
Come ha scritto lo stesso Salgado, il viaggio fu quasi un viaggio nel tempo.
Incontrò il popolo dei Saraguros, Indios dell’Ecuador del Sud, molto credenti e grandi bevitori.
Secondo una leggenda dei Saraguros, Dio invierebbe sulla terra alcune persone per valutare chi meritava il cielo e chi no.
La persona a sinistra nella foto che segue si chiama Guadalupe :




Guadalupe era convinto che Sebastiao Salgado fosse uno di quegli inviati del signore, forse per via della sua barba rossa.
E così, mentre Guadalupe accompagnava Sebastiao attraverso i suoi territori, gli raccontò tutta la sua vita.
In quegli anni il figlio di Sebastião dovette abituarsi a vivere con un padre sempre lontano. Nel suo immaginario era come un eroe che viaggiava per il mondo.
L’occasione di poter vedere il padre all’opera, Juliano la avrà circa 30 anni dopo quando diventerà aiuto regista di Wim Wenders nel documentario del 2014 dedicato all’opera di Sebastião, “Il sale della terra”.
Vincitore di diversi premi è un documentario con immagini di grande potenza. Grande parte degli spunti di questo articolo derivano proprio da quel film.
La grandezza delle fotografie di Salgado viene magistralmente sottolineata dal grande regista tedesco.




Continuando il suo viaggio nel nord est del Brasile, Sebastião Salgado incontrò popolazioni poverissime, costrette a lasciare le loro terre a causa dell’aridità del terreno.
Tutto era secco e la mortalità infantile era altissima. Esistevano addirittura dei posti in cui si potevano affittare bare.
Era la prima volta che si trovava di fronte a popolazioni costrette ad un esodo forzato dalle loro terre, tematica che lo appassionerà particolarmente in futuro.




La sofferenza di cui era stato testimone in quella zona del Brasile lo aveva cambiato.
Sebastião Salgado comprese per la prima volta nella sua carriera che il suo ruolo di fotografo poteva assumere un nuovo significato.
E fu così che tornò nel continente africano, che lo affascinava dal tempo dei suoi viaggi come economista.
Sebastião Salgado : SAHEL, la fine della strada (1984 – 1986)
Per questo progetto cominciò a collaborare con Medici senza frontiere, visitando nell’arco di due anni Chad, Mali, Eritrea ed Etiopia.
Il primo grande lavoro di denuncia di Sebastiao Salgado aveva come oggetto la fame e il problema della ridistribuzione della ricchezza.
Voleva rendere noto al mondo di come i governi trattenessero i viveri e lasciassero morire di fame le loro popolazioni.
Per via dei conflitti interni presenti in quelle regioni, molte persone furono costrette a scappare, strette nella morsa della siccità, in condizioni disumane.




Nonostante tutta quella sofferenza, Salgado ricorda l’umiltà di quei popoli, nessuno sarebbe stato in grado neanche di saltare una fila nonostante fossero immersi in tutta quella disperazione.




In Etiopia, i guerriglieri avevano capito che il governo stava evacuando la regione.
La popolazione venne spinta verso il Sudan : quelli che riuscivano ad arrivare a destinazione trovavano comunque una situazione disperata.




Questo padre non è riuscito a salvare il proprio figlio, il suo cammello stremato sul fondo della foto li ha portati fino a quella destinazione di salvezza.
In Mali si trovavano in giro solo donne e bambini : gli uomini erano in giro a cercare quel poco di fortuna che una situazione come quella poteva mettere a disposizione.




Guarda la postura determinata di questo bambino col suo cane : dà l’impressione di sapere perfettamente quello che cercava, una fierezza nata dalla sua condizione di uomo probabilmente solo al mondo.
Le foto di Sebastião Salgado attirarono l’attenzione del mondo sulla siccità e sul destino di milioni di persone.
Sebastiao Salgado : WORKERS – LA MANO DELL’UOMO, l’archeologia dell’era industriale (1986-1991)
Il lavoro successivo che Sebastiao e Lélia si apprestavano a preparare voleva essere un omaggio agli uomini che avevano costruito, attraverso il loro lavoro, il mondo in cui viviamo.
Sebastião viaggiò per oltre 30 paesi, compiendo un appassionato ritratto della condizione dei lavoratori delle più diverse attività.
Nonostante spesso racconti di condizioni di lavoro estreme, questa volta l’occhio di Sebastiao è più empatico che di denuncia.
Il lavoro che mette insieme per la prima volta il fotografo all’economista, la persona che conosce bene quali sono le dinamiche che fanno girare il mondo.
In questo progetto si racconta dei lavoratori nelle acciaierie russe, dei pescatori di tonno in Sicilia, dei vigili del fuoco in Kuwait.
E si racconta anche di lavori che nemmeno credevi più esistessero, come quello dei raccoglitori d’oro della Sierra Pelada in Brasile.
I raccoglitori d’oro della Sierra Pelada




Salgado racconta che è stato come tornare all’alba dei tempi, alla condizione degli schiavi che costruivano le piramidi.
Cinquantamila persone in un buco, schiavi del loro desiderio di arricchirsi, una sintesi estrema della condizione umana.
Arrivava chiunque in Sierra Pelada : contadini, operai, studenti, intellettuali, tutti a cercare una possiblità.
Era un mondo molto organizzato, ma nella follia più totale




Si saliva e si scendeva da quelle scale più di 50 volte al giorno.
Sebastião Salgado si è arrampicato più volte su quelle scale ma non gli è mai venuto in mente di cadere, nessuno mai cadeva, perché rischiava di trascinare qualcuno con sè.




Tutti quelli che iniziano a toccare l’oro, on tornano più indietro, era questa la schiavitù.
Quando si trovavano i filoni d’oro tutti quelli che avevano lavorato in quella piccola parte della miniera avevano diritto a scegliere un sacco.
E nel sacco scelto poteva non esserci niente come poteva esserci un chilo d’oro : in quel momento ti giocavi l’inidpendenza.
I vigili del fuoco del Kuwait
Nel 1991 Saddam Hussein ordinò di incendiare i pozzi di petrolio durante la guerra del golfo.
Per giorni interi il sole non passava; anche quando un incendio veniva spento, la terra rimaneva talmente incandescente che subito se ne innescava un altro.




Sebastiao Salgado volle testimoniare il lavoro di professionisti che da tutto il mondo arrivarono in Kuwait per cercare di domare quelle fiamme.




Ricorda Salgado di essersi trovato ad un certo punto in quello che una volta doveva essere un angolo di paradiso.
Il giardino privato di una famiglia Kuwaitiana, adesso abitato dai loro cavalli impazziti e da uccelli che non potevano volare, con le ali incollate dal petrolio.




Sebastião Salgado : EXODUS, in cammino (1993-1999)
Nel 1994 in Ruanda avvenne una migrazione forzata di circa due milioni di persone verso la Tanzania.
L’esodo fu causato dalle rappresaglie della maggioranza di etnia Hutu nei confronti della minoranza dei Tutsi : Sebastião Salgado fu uno dei primi ad arrivare e a rendersi conto della dimensione del genocidio che stava avvenendo.
Percorse controcorrente l’esodo, dirigendosi verso il Ruanda e trovando davanti a sé una fila di 150 km di morti.




In pochi giorni, un milione di persone costruirono una tendopoli nella savana, stremati dalla fame e dalla violenza.




Pochi mesi dopo la reazione dei Tutsi non si fece attendere e si rovesciò la situazione: adesso erano gli Hutu che fuggivano a causa delle barbarie dei Tutsi.
Nascosti nella foresta del Congo
In quell’occasione circa due milioni di persone si spostarono nella regione Goma del Congo : fu una catastrofe sanitaria.
Durante il 1995 gli Hutu, decimati dalle malattie e non sapendo più dove andare, decisero di rientrare in Ruanda.
Non tutti però : circa 250 mila di loro, per paura delle controrappresaglie dei Tutsi, si rifugiarono nella foresta del Congo, dove rimasero letteralmente nascosti per oltre 6 mesi.




L’alto commissariato delle nazioni unite organizzò un treno per raggiungere il centro della foresta e portare viveri. Salgado un giorno salì su quel treno e una volta arrivato a destinazione si volle fermare per testimoniare quella situazione.
C’era gente che continuava ad arrivare, tutti i giorni. Le persone, in quella situazione disperata, comunque si organizzavano e la vita andava avanti.




Ad un certo punto, i guerriglieri pro Tutsi occuparono la vocona città di Kisangani e cominciarono a scacciarli e ad ucciderli.
Fu in quel momento che Sebastiao Salgado iniziò a non avere più fiducia nel genere umano.
Dopo il Ruanda
Dopo Exodus e l’esperienza del Ruanda, Sebastiao e Lélia vollero tornare in Brasile nella fazenda del padre di Sebastião.
Tutto quel dolore, la visione di migliaia di morti, tutta l’ingiustizia vissuta da Sebastião, lo avevano in qualche modo ucciso dentro, come lui stesso racconta nel suo Ted Talk.
La situazione che trovarono in Brasile era molto diversa da come l’avevano lasciata : i genitori erano molto invecchiati ma soprattutto, la foresta pluviale che una volta circondava la casa dei Salgado, semplicemente, non esisteva più.
Come in altre parti del Brasile e di tutto il pianeta, il progresso aveva distrutto molte foreste per lasciare spazio all’edilizia.
Ma Lélia ebbe un’idea : ricostruire quello che c’era una volta. E così, ripiantarono centinaia di migliaia di alberi e ricostruirono l’ecosistema che c’era prima, riportando la vita a scorrere.
Hanno fondato l’istituto Terra, che si occupa di tematiche relative all’ambiente e raccoglie fondi per sostenere attività in tutto il mondo.
Pensare che una piccola piantina di 3 mesi potrà arrivare a 400 anni, può dare un’idea di eternità.
Dopo tutta la disperazione e la consapevolezza della morte che aveva accumulato durante gli anni di Exodus, c’era bisogno di un forte e concreto segnale di vita.
La terra guarì la disperazione di Salgado.
Il nuovo grande progetto che si apprestava a concepire, era un omaggio al pianeta.
Sebastião Salgado : GENESI (2004-2013)
Salgado scoprì che quasi la metà della Terra era ancora incontaminato come nel giorno della genesi e volle testimoniare quelle meraviglie, con le loro piante e i loro animali.
Qualcuno lo criticò per aver abbandonato la fotografia di denuncia sociale per diventare un paesaggista. Ma abbiamo visto che quella non fu una scelta estetica o politica, fu la necessità di guarire da tutto il dolore interiorizzato in Ruanda.
E l’uomo Salgado scelse di testimoniare le meraviglie del pianeta.
Dal 2004 al 2011 produsse una grandissima quantità di immagini che volevano far nascere una discussione su cosa valesse la pena di conservare e di valorizzare.












Salgado scoprì anche gruppi umani non ancora raggiunti dalla civiltà, e quelli che addirittura non erano mai entrati in contatto con l’uomo, presenti soprattutto nella foresta amazzonica.
I Nenette, una popolazione della Siberia : 18 persone che gestivano 6000 renne, sempre in migrazione.




Oppure gli Zo’è, una popolazione indios dell’Amazzonia.
Nel XVI secolo alcuni scritti di gesuiti parlavano di un popolo con un tubo sul labbro inferiore.
Non furono più stati visti, si credevamo addirittura un’invenzione dei gesuiti. Ma alla fine degli anni 80 furono avvistati di nuovo.




Le donne avevano ognuna 3 o 4 mariti e lo stesso valeva per gli uomini.
Le donne sceglievano un marito per ogni funzione: chi andava a caccia, chi a pesca, chi si occupava della casa. Mentre li fotografava, Salgado si accorse che avevano una coscienza perfetta della loro immagine.
Sebastião Salgado : AMAZZONIA (2013-2019)
Tra il 2013 e il 2019 Sebastiao e Léila Salgado hanno effettuato 48 spedizioni ognuna della durata di diversi mesi nella foresta amazzonica.
La mostra Amazzonia vuole celebrare la bellezza e l’importanza per il pianeta della foresta brasiliana.
Allo stesso modo Sebastiao Salgado vuole trasmettere la fragilità dei suoi equilibri interni, umani e naturali.
Questa volta la celebrazione e la denuncia fanno parte della stessa opera.
Sette anni di lavoro con spedizioni fotografiche compiute via terra, via acqua e via aria.
Ho avuto la fortuna di vedere la mostra Amazzonia al museo Maxxi di Roma nel gennaio 2022.
L’installazione (curata come al solito da Léila) con le luci soffuse, le fotografie sospese e la musica scritta da Jean-Michel Jarre è una vera e propria esperienza immersiva.
Si possono quasi sentire il fragore dell’acqua e l’abbraccio della vita di quelle popolazioni ancora incontaminate dalla fretta e dal progresso.
“Queste immagini vogliono essere la testimonianza di ciò che resta di questo patrimonio immenso, che rischia di scomparire. Affinché la vita e la natura possano sottrarsi a ulteriori episodi di distruzione e depredazione, spetta a ogni singolo essere umano del pianeta prendere parte alla sua tutela”.
SEBASTIAO SALGADO
La mostra è divisa in due parti.
La prima è dedicata al paesaggio e le fotografie ritraggono panoramiche aeree della foresta, la potenza delle tempeste tropicali e i rilievi montuosi che ne definiscono la conformazione.
Molto interessanti sono i Fiumi volanti, una delle caratteristiche meno conosciute della foresta pluviale.
Sono delle vere e proprie correnti d’acqua che dal verde della foresta salgono verso il cielo a nutrire l’atmosfera : le fotografie realizzate da Salgado dall’aereo sono impressionanti.




La seconda parte è invece dedicata alle popolazioni indigene che abitano ancora la foresta.
Tra di loro ce ne sono alcuni che rischiano seriamente l’estinzione della loro cultura e altri, come i Korubo, per cui la spedizione di Salgado del 2017 è stata la prima occasione di contatto con l’uomo moderno mai avuta.
Una nuova vita
Qual è l’effetto di piantare migliaia di alberi in un luogo arido?
Sicuramente quello di far tornare a scorrere la vita, come dimostra il confronto tra le due foto che rappresentano la fazenda dei Salgado prima e dopo il loro intervento di riforestazione :




Ancora una volta, un progetto durato anni e fatto con passione e amore da parte di Sebastião e Lélia Salgado.
Conclusioni
Sebastião Salgado intende la fotografia in modo diverso rispetto a tanti altri fotografi.
Una necessità espressiva più che un mestiere, utilizzata per denunciare i grandi orrori e celebrare le meraviglie dell’ uomo e del pianeta Terra.
Ripercorriamo i grandi lavori che abbiamo visto in questo post :
- Altre Americhe : la celebrazione del suo Brasile;
- Sahel : la denuncia della fame e della povertà;
- La mano dell’uomo : un inno ai lavori che costituiscono la struttura del mondo moderno;
- Exodus : in cui ha denunciato gli orrori dovuti alle migrazioni dei popoli;
- Genesi : una lettera d’amore alla Terra.
Quale ispirazioni ti ha lasciato la conoscenza di questo grande uomo e fotografo?
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