
Andreas Gursky è l’autore della foto più costosa della storia.
Quella che vedi in alto infatti è Rhein ii, battuta all’asta da Christie’s nel 2011 per 4,3 milioni di dollari.
Quando ci troviamo di fronte a costosissime opere di arte contemporanea facciamo difficoltà a riconoscerne il valore, non riusciamo a trovare un senso e spesso pensiamo : “Questa la facevo anch’io”.
A volte per capire opere all’apparenza senza significato basta conoscere la vita dell’artista che le ha create.
Sapere com’era il suo ambiente familiare, conoscere le scuole che ha frequentato e quali sono stati gli artisti che lo hanno ispirato.
Del resto cosa fa un autore se non assorbire dalla vita tante esperienze per poi interpretarle a modo suo?
Allora vediamo da vicino dove è cresciuto Andreas Gursky, quali sono stati i suoi compagni di formazione fotografica e da cosa è stato influenzato.
Spero che anche per te possa diventare un fotografo di riferimento.
La sua storia ti farà conoscere la scuola di Düsseldorf, alcuni grandi fotografi americani ed enormi fotografie.
Sei pronto?
Cominciamo.
Andreas Gursky e gli anni 70
Andreas Gursky nasce a Lipsia nel 1955.
Inizia subito a respirare fotografia perché sia il padre che il nonno erano fotografi commerciali e lo studio di famiglia si trovava proprio sotto la loro abitazione.
Anche la madre aiutava in quell’attività e il piccolo Andreas diventa a volte il soggetto di alcune fotografie del padre.
La famiglia si trasferisce a Düsseldorf nel 1957 e in questa città l’attività di famiglia comincia a prosperare.
Gli anni dell’adolescenza di Andreas Gursky sono segnati dalla protesta verso ciò che molti giovani consideravano il finto conforto del miracolo economico. La stessa attività dei genitori, proprio per il suo carattere commerciale, non era vista di buon occhio da Andreas.
Rifiutò di arruolarsi nell’esercito e per diciotto mesi svolse il servizio civile come assistente sanitario, immaginando che quella potesse essere la sua carriera.
Ma nel 1977 tornò istintivamente alla fotografia. Seguì una sua amica che si era appena iscritta alla Università delle Arti Folkwang (Folkwangschule) di Essen diretta da Otto Steinert , in quel momento una delle più prestigiose accademie d’arte della Germania.
Gli allievi di Steinert in quegli anni apprezzavano molto il lavoro di Henri Cartier-Bresson.
Il mito del fotografo francese era legato al simbolo della Leica 35mm e ad una fotografia in cui l’istinto aveva la meglio sul calcolo e sulla costruzione della scena.
Anche Andreas Gursky in quegli anni girava con due Leica nel taxi che guidava per arrotondare le entrate.
Ma nella Germania di quegli anni stava soffiando una nuova ventata creativa che arrivava da oltre oceano.
Una nuova fotografia ispirata agli americani
Durante gli anni 70 in Germania proliferarono gallerie fotografiche, programmi museali e pubblicazioni per favorire un nuovo tipo di cultura artistica fotografica distaccata dal commercio e dal giornalismo.
La stessa scuola di Essen, con la morte di Steinert avvenuta nel 1978 (solo un anno dopo l’arrivo di Gursky), aveva cambiato il suo orientamento. I compiti di insegnamento di Steinert furono assunti da persone più giovani tra cui Michael Schmidt, profondo ammiratore della nuova scena americana.
Tra gli autori più ammirati da Schmidt c’era Robert Adams.
A partire dagli anni 60, Adams aveva iniziato a riconsiderare il grande West americano, raccontandolo non più nella vastità dei suoi paesaggi incontaminati ma attraverso gli interventi meno “belli” della mano dell’uomo.
E non era il solo.
Altri fotografi americani esplorarono in quel periodo le nuove opportunità offerte dalla fotografia di paesaggio, e ognuno lo fece a modo suo.
La mostra “New Topographics : Photography of a Man-Altered Landscape”, organizzata nel 1975 a Rochester da William Jenkins, sancisce la nascita di un vero e proprio movimento.
In mostra le opere di dieci autori, ognuno dei quali interpretava attraverso dieci fotografie gli effetti della mano dell’uomo sul paesaggio.
Stazioni di servizio, centri commerciali, case di periferia, fabbriche : il gesto fotografico scandagliava nuove possibilità ed iniziava ad esplorare le stratificazioni fisiche dovute al progresso.
E così, da entrambe le sponde dell’ Atlantico, gruppi di giovani fotografi mettevano da parte le Leica e imbracciavano il cavalletto. Dall’osservazione a ruota libera della realtà si passava ad una fotografia più ponderata e ricca di dettagli.
Tra i dieci fotografi partecipanti alla mostra c’erano due eccezioni : i coniugi tedeschi Bernd e Illa Becher (gli unici non americani e che ritroveremo più avanti) e Stephen Shore.
Quest’ultimo introduceva per la prima volta nella fotografia d’autore un elemento che fino ad allora era ancora considerato ancora un tabù: il colore.
Andreas Gursky e la scuola di Düsseldorf
Finiti gli studi all’università di Essen, Andreas Gursky ha fatto quello che facevano quasi tutti i laureati della Folkwang : ha preparato un portfolio e si è recato ad Amburgo a cercare un lavoro come fotoreporter.
In quegli anni Amburgo era il centro nevralgico dell’industria delle riviste della Germania occidentale.
Il tentativo di Gursky di diventare reporter fallì ma per fortuna seguì il consiglio del suo amico Thomas Struth e si iscrisse alla Kunstakademie di Düsseldorf, dove Struth aveva studiato per diversi anni.
Vista oggi, quella scelta ha rappresentato un passo fondamentale per la vita artistica di Gursky. In quella scuola avrebbe potuto abbandonare una comunità in cui ambizione artistica e professionalità pratica si sovrapponevano e si contaminavano a vicenda, cioè quella dei giornali e dei reportage.
Ad accoglierlo nella Kunstakademie c’era una comunità il cui impegno si concentrava su una visione moderna di avanguardia artistica, svincolata da qualsiasi funzione pratica.
Andreas Gursky stava entrando in quella che poi si sarebbe definita la Scuola di Düsseldorf, a detta di molti il più importante movimento di rinnovamento fotografico del novecento.
Il metodo dei coniugi Becher
Il punto di riferimento artistico e concettuale della scuola di Düsseldorf era rappresentato dai coniugi Illa e Bernd Becher.
Tutti e due erano stati allievi della scuola e Bernd vi insegnò dal 1976 al 1996 e fu tra l’altro l’insegnate di Andreas Gursky.
La fotografia dei Becher si inseriva nel filone tedesco della classificazione enciclopedica, il cui più noto esponente era August Sander.
Nei suoi famosi ritratti, Sander si proponeva di rappresentare attraverso un singolo e specifico individuo, il prototipo della classe sociale a cui apparteneva.
Sander aveva diviso la società in sette gruppi principali : il contadino, l’operaio, la donna, le posizioni sociali, l’artista, la grande città e i diseredati.

Al contrario di Sander, l’approccio dei Becher era quello delle tipologie, in cui si voleva rappresentare l’identità del soggetto attraverso la gamma delle sue particolari rappresentazioni.
Quindi non un soggetto che rappresentasse il prototipo di qualcosa ma tante foto dello stesso tipo di soggetto la cui rappresentazione corale ne avrebbe rappresentato l’essenza.
Le fotografie dovevano essere le più oggettive possibile e il soggetto scelto dai Becher fu l’architettura industriale : praticamente la costante della loro produzione per tutta la vita.

Nello studio di suo padre e alla scuola di Essen, Gursky aveva sempre pensato alla fotografia come a un modo di guadagnarsi da vivere. Per i Becher era uno stile di vita, e questo lo impressionò profondamente.
Dopo un anno di corsi introduttivi tenuti da diversi docenti, ogni allievo della scuola di Düsseldorf poteva decidere tra due indirizzi :
- educazione artistica, che permetteva una successiva carriera nell’insegnamento;
- arte libera o aperta, che avrebbe portato lo studente ad una carriera artistica indipendente.
Andreas Gursky scelse il secondo indirizzo.
Iniziò la scuola nel 1981 trovandosi in classe con altri nomi che sarebbero diventati dei punti di riferimento per la scuola, come Candida Höfer e Thomas Ruff.
Le tipologie dei coniugi Becher
Nessun allievo della scuola di Dusseldorf poteva sottrarsi all’inizio del proprio percorso alla scelta di un tema a cui applicare il metodo delle tipologie.
Abbiamo già parlato nell’articolo su come trovare idee per fare fotografie di come avere una tematica chiara da seguire sia importante.
Ma anche di come sia ancora più importante avere delle regole che limitino, almeno all’apparenza, le nostre urgenze espressive.
Anche se mai ufficialmente codificate, come accaduto nel cinema con le regole del Dogma 95 di Lars von Trier e Thomas Vinterberg, è possibile individuare alcuni aspetti che non era possibile utilizzare nella realizzazione delle tipologie :
- i dettagli strani e accattivanti
- le inquadrature decentrate
- i giochi di riflessi e qualsiasi effetto artistico
- le sfocature
- gli effetti in primo piano
- le composizioni astratte e pittoresche
- la distorsione della prospettiva tramite grandangolo
- le prospettive oblique
Si possono trovare nell’opera dei coniugi Becher solo altri due aspetti che vennero “superati” da alcuni degli allievi della Scuola di Dusseldorf nella realizzazione delle loro tipologie.
Questi aspetti riguardano l’utilizzo del colore e la presenza dell’uomo, che come vedremo tra poco rappresentano due caratteristiche fondamentali degli “esercizi iniziali” sia di Thomas Ruff che dello stesso Gursky.
I coniugi Becher ricevettero nel 1990 il Leone d’Oro per la scultura in occasione della XLIV Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, “per la particolare plasticità della loro opera fotografica”.
Erano state esposte tipologie di torri d’acqua, altiforni, gasometri, silos, torri di fabbriche e abitazioni, l’intero panorama da loro raccolto dei decenni precedenti.

Per la prima volta nella storia della Biennale si assegnava il premio per la scultura a dei fotografi.
Thomas Ruff e Thomas Struth alla scuola di Düsseldorf
Insieme ad Andreas Gursky, i due nomi più importanti della scuola di Düsseldorf sono quelli di Thomas Ruff e Thomas Struth.
Vediamo quale fu il loro approccio con il metodo dei Becher per poi passare ad analizzare nello specifico quello di Gursky.
Tutti e due dovettero scegliere un tema ampio a cui applicare il metodo delle tipologie.
Thomas Ruff
Thomas Ruff è stato il primo della scuola di Düsseldorf a riscuotere un certo successo verso la fine degli anni 80. Ruff applicò il metodo delle tipologie a diversi soggetti di cui voleva restituire un tipo di immagine coerente a qualcosa di precedentemente calcolato.
La sua tipologia più famosa è quella dei ritratti : al contrario di Sander che faceva corrispondere ogni soggetto ad un prototipo sociale ben definito, Thomas Ruff estrae una realtà sociale dalle sue particolarità costitutive attraverso il metodo impersonale dei Becher.
I suoi ritratti sono icone vuote dell’identità contemporanea e il loro formato quasi monumentale, faceva in modo che lo spettatore si sentisse sminuito nella visione.

Teminata la serie dei ritratti, Ruff si concentrò su altre tematiche e fu uno dei pochi della scuola a non allontanarsi mai dal metodo delle tipologie dei Becher, precludendosi forse la possibilità di scoperte inaspettate come se tutto fosse nell’idea e la realizzazione della foto solo una questione di lavoro.
Thomas Struth
Thomas Struth entrò nella classe di Bernd Becher nel 1976 e anche lui adottò all’inizio la tecnica delle tipologie , ma al contrario di Ruff la abbandonò dopo i primi esperimenti.
La tipologia da cui iniziò prevedeva di posizionare la sua macchina fotografica 5 x 7 pollici al centro di una strada senza traffico, andando a costruire un’immagine con un forte punto di fuga centrale : una prospettiva immobile, centrata sulla strada.


Ma presto si rese conto che erano le stesse regole ad impedirgli di rivolgere la macchina verso altri aspetti della scena che lo interessavano.
Decise di abbandonare la funzione comparativa della tipologia da cui aveva comunque imparato lo straordinario potenziale della fotografia.
Come dice Peter Galassi : “Aveva scoperto l’arte della fotografia: la sfida di trovare l’unico posto in cui stare da cui il mondo, compresso in due dimensioni all’interno della cornice dell’immagine, abbia un senso in se stesso”.
Struth voleva incorporare all’interno di singole immagini la funzione comparativa che i Becher raggiungevano attraverso i gruppi.
Voleva trovare un punto di vista da cui poter fotografare esemplari di diversi tipi, periodi e stili architettonici, in modo da riassumere il carattere e la storia di un luogo.

Questo approccio anticipava una strategia che Gursky avrebbe esplorato all’inizio degli anni ’90.
Andreas Gursky e le tipologie
Andreas Gursky entrò nella classe di Bernd Becher nell’autunno del 1981 e come prima cosa dovette abbandonare le sue Leica e con loro l’atteggiamento istintivo di catturare immagini dall’esperienza ogni volta che lo spirito si commuoveva.
Lo aspettava un tipo di fotografia più lento e calcolato da realizzare con macchine con formati più grandi. E soprattutto lo aspettavano le tipologie.
Gursky applica questo metodo ad interni di ristoranti, commesse dei negozi e in modo più diffuso agli addetti alla sicurezza dei grandi edifici che lavorano sempre in coppia.
Il risultato ha un non so che di umoristico quasi a voler sdrammatizzare l’estetica seria dei Becher.
Come era successo a Thomas Ruff al termine della serie dei ritratti, anche Gursky si trovò di fronte ad una tabula rasa quando terminò la sua serie tipologica sulle “Security Guards”.
Ma reagì in modo molto diverso da Ruff e invece di cercare un altro argomento da sviluppare, si chiese se c’era altro da vedere in giro.
Andreas Gursky e le foto della domenica
E in giro vedeva gente che si divertiva, faceva sport, passeggiate e sembrava avere tutto il tempo del mondo : è il periodo delle cosiddette Foto della domenica.
La macchina fotografica che scelse per questa fase della sua produzione era una medio formato sei per sette centimetri; mantenendo una certa maneggevolezza permetteva di ottenere negativi molto più nitidi di quelli della Leica
I soggetti ritratti erano molto più simili a quelli praticati durante il periodo della scuola di Essen con le differenze sostanziali rappresentate dal colore e dalla ricchezza dei dettagli che il medio formato garantiva.


L’estetica della metà degli anni ’80 di Gursky fatta di ampie vedute perfettamente a fuoco, spazialmente generose e illuminate dal sole riecheggia inequivocabilmente The New Color Photography.
Questa era un’antologia pubblicata nel 1981, che presenta portfolio compatti di diciotto fotografi americani , compresi Stephen Shore e Sternfeld.
Klausenpass
Ma Andreas Gursky stava iniziando a tracciare un proprio percorso personale che lo avrebbe portato lontano dagli americani.
Nel 1984 durante una vacanza in Svizzera scattò questa foto che sviluppò diversi mesi dopo :

Durante lo sviluppo, grazie anche alla finezza dei dettagli garantita dal medio formato, Gursky notò con stupore dei minuscoli escursionisti a cui non aveva fatto caso nel momento dello scatto.
Riscopre così uno dei piaceri più antichi della fotografia : il diletto dei dettagli troppo piccoli e la possibilità di contemplare il mondo con calma.
E’ possibile osservarlo in una sua immagine appiattita su un pezzo di carta, magari seduti comodamente in poltrona.
Per descrivere questo intento della fotografia, Gursky ha utilizzato la metafora di un extraterrestre che ha inaspettatamente incontrato un pianeta abitato e lo studia con curiosità disinteressata, senza alcuna urgenza o forma di malizia.
I suoi soggetti di svago si prestano a questa osservazione paziente.
Il fascino di una prospettiva lontana resa con grande nitidezza era un qualcosa già sperimentato dagli americani.
Ma l’esercizio scolastico imparato dai Becher fa in modo che Gursky ricerchi il modello di un’immagine uniforme e questo sarà il suo tratto distintivo nei confronti dei colleghi d’oltreoceano.
Andreas Gursky e il grande formato
Nel 1987 Andreas Gursky vinse una borsa di studio e potè dedicarsi a tempo pieno all’arte.
Andò verso formati più grandi tipo il banco ottico ma questo non fece diminuire la sua tendenza esplorativa.
Fu anche una necessità dovuta da una sua nuova volontà, quella di produrre stampe più grandi in cui, per rendere visibili i dettagli minori, c’è bisogno di un negativo più grande.
Del resto anche il successo delle esposizioni dei Becher era stato facilitato dai grandi formati.
Benchè le singole stampe delle tipologie non fossero di grande formato, le griglie espositive occupavano un grande spazio nei musei.
Anche Jeff Wall, di sicuro un riferimento per Andreas Gursky, era solito produrre fotografie monumentali.
Una piccola immagine non può che essere letta che da vicino. Una grande immagine può essere letta già da lontano ma ha la potenzialità di poter offrire un’esperienza di lettura graduale mentre ci si avvicina ad essa.
Tutti i dettagli che si svelano man mano ci si avvicina alla fotografia rappresentano una ricompensa continua per chi guarda.
Il macrocosmo rivela la sua struttura microcosmica e questo, come vedremo, rappresenta un motivo di valore.
Andreas Gursky e gli anni 90
Nel 1990 Andreas Gursky notò su una rivista una fotografia della borsa di Tokyo e la trovò un posto interessante da fotografare.
Riuscì così ad organizzare il viaggio ed un servizio fotografico da cui pubblicò questa foto :

Andreas Gursky agli inizi degli anni 90 è un fotografo famoso e la sua attività è caratterizzata da 3 fatti principali :
- l’opportunità di viaggiare grazie alla sua crescente notorietà;
- l’abitudine di individuare nuovi soggetti non per esperienza diretta ma attraverso i media, come espressioni dello spirito del tempo;
- la pianificazione meticolosa per avere accesso a luoghi altrimenti inaccessibili
La foto della borsa di Tokyo può essere considerata lo spartiacque verso questo nuovo approccio caratterizzato anche da un nuovo modo di organizzare le immagini.
Resta l’attenzione verso le piccole figure da scorgere in dettaglio ma adesso queste occupano la fotografia da parte a parte.
La foto della borsa, più che rappresentare la particolare istituzione finanziaria di Tokyo le vuole rappresentare tutte, con i suoi modelli di comportamento e le sue procedure particolari.
Rappresenta un modello di comportamento contemporaneo.
I suoi operatori perdono la loro identità nella massa in virtù del ruolo che stanno svolgendo e lo stesso potrebbe dirsi dei partecipanti ad un rave.
Anche in questo caso tante piccole persone compongono la fotografia, ognuna individuabile tramite l’enorme definizione dei dettagli. Ancora una volta la prospettiva a volo d’uccello trasmette un distacco del punto di vista.

Il mondo di Gursky degli anni ’90 è scintillante, frenetico, costoso. Al suo interno l’uomo moderno è solo uno dei tanti
Ormai Gursky è lontano dalla forma enciclopedica dei Becher che realizzavano tante immagini tramite le quali arrivare ad una sintesi. A testimonianza di ciò, il numero delle fotografie pubblicate ogni anno è molto ristretto.
Gursky vuole che tutto quello che sia necessario sia incluso nella fotografia e un altro scatto significativo da questo punto di vista è la foto del porto di Salerno del 1990.

Questa foto vuole enciclopedicamente rappresentare la grande industria e il commercio imposti alla cultura del mediterraneo.
E nella foto sono presenti tutti i componenti chiave della rappresentazione : dalle colline sullo sfondo, l’ampio litorale della città, il porto industriale e il pattern delle macchine nuove di zecca dai colori vivaci in primo piano.
Gli amici di Gursky consigliarono Genova come un luogo in cui avrebbe potuto trovare materiale più interessante. Ma la scala più grande di Genova non avrebbe permesso di far rimanere tutte le componenti nella stessa inquadratura.
Andreas Gursky e la pittura
Durante gli anni 80 i Becher avevano favorito l’ambizione di molti loro studenti di diventare artisti attraverso la fotografia.
Nello stesso periodo, personaggi come Cindy Sherman e Jeff Wall alimentavano la temperatura della competizione.
L’influenza della pittura nell’estetica di Andreas Gursky ha senza dubbio costituito terreno fertile a questa ambizione, senza che questo diventasse mai motivo di citazione diretta.
Si trattava piuttosto l’aver assorbito visivamente tante opere pittoriche che poi diventano inconsciamente dei riferimenti.
La pittura di ispirazione pop del pittore Gerhard Richter ha sicuramente influenzato la fotografia di Andreas Gursky.
In particolare, nel 1966 Richter realizzò una serie di grandi dipinti modellati sulla falsa riga dei campioni che si utilizzano quando bisogna scegliere i colori per ridipingere il proprio soggiorno.
Dipingere significa disporre i colori sulla tela in modo significativo e Richter ha risolto il problema facendolo nel modo più inequivocabile possibile.

Montparnasse
Nel 1993 Andreas Gursky fotografa un enorme condominio parigino andando a riprendere il tema dell’individuo e della massa che non era una novità per il suo lavoro.

Ispirato anche da una serie in corso di Thomas Ruff sulle facciate di edifici, dall’amico riprende anche la tecnica di aver unito digitalmente due scatti separati per poter esprimere la forza dello sviluppo orizzontale.
Ma a differenza di Ruff che fa stare i suoi edifici comodamente all’interno dell’inquadratura, Gursky decide di tagliare a destra e a sinistra il suo condominio. Questo trasmette un senso di prosecuzione orizzontale infinita.
La casuale disposizione cromatica delle varie finestre ne ravviva il ritmo monotono e conferisce un’impressione di abbondante varietà e di sicuro ricorda le cartelle di colore di Richter.
La fotografia rappresenta nient’altro che una trascrizione passiva senza arte di una cosa del mondo.
L’opera misura quasi 2 metri per 4 ed è la più grande realizzata da Gursky fino a quel momento e conserva una ricchezza di dettagli impressionante.

Andreas Gursky e gli sviluppi orizzontali infiniti
Come si fa a rendere il senso di infinito dell’elemento di una fotografia?
E’ necessario che questo venga tagliato dai bordi, in modo da comunicarne il senso di estensione verso una parte che non vediamo e che quindi, in linea teorica, potrebbe continuare all’infinito.
Se poi questa parte tagliata si sviluppa in modo perfettamente orizzontale nella porzione visibile della foto, perché mai dovrei pensare che si interromperà subito dopo la sua “uscita di scena”?
Le foto che preferisco di Gursky hanno questa costruzione formale.
Abbiamo detto che per il soggetto di Montparnasse Gursky si ispira all’amico Thomas Ruff che in quel periodo era impegnato in una serie sulle facciate di edifici.
Vediamo una foto in cui Ruff lascia nei limiti della fotografia l’edificio :

Con Montparnasse di Gursky questa foto ha in comune il soggetto, la sua orizzontalità, le linee geometriche : eppure Montparnasse potrebbe quasi essere vista come qualcosa di diverso da un edificio, assumere nuovi significati.
Un altro esempio di foto con uno sviluppo orizzontale che attraversa i limiti laterali dell’inquadratura è 99 cent :

Andreas Gursky : Rhein ii

E siamo arrivati a parlare di lei : Rhein ii.
Il lungo viaggio che abbiamo fatto attraverso la vita di Andreas Gursky è stato necessario per capire cosa c’è dietro questa grande opera.
Sia chiaro, non voglio giustificare il valore economico di quei 4,3 milioni di dollari (quello lo definisce il mercato) ma catturare i tratti salienti di questa fotografia.
Tutto quello che abbiamo visto ci servirà per ricostruire un significato.
Alla fine degli anni 90, durante i quali Gursky si era concentrato sull’uomo e sul suo rapporto con il mondo moderno, il fotografo tedesco realizza un’opera di paesaggio.
Molti la definiscono un non luogo : ma cosa significa precisamente? Non saprei dire e non mi interessa andare a definire cose dette da altri.
Quello che vorrei sottolineare è la pittoricità di quest’opera in cui ancora una volta traviamo l’eco di grandi artisti che hanno influenzato Gursky.
C’è infatti chi ha individuato l’influenza del grande pittore paesaggista tedesco Caspar David Friedrich.
I suoi paesaggi sono caratterizzati da una struttura pittorica semplice e imponente, evocativa di un ordine divino. La particolarità d’osservazione e la presenza dell’uomo si inserisce attraverso l’accumulo di dettagli.

E in Rhein ii ritroviamo la struttura semplice dell’andamento orizzontale, il cui senso di infinitezza è accentuato dal soggetto : un fiume che scorre.
Sebbene il taglio laterale degli elementi conferisca come abbiamo già visto il senso di continuità, è facile immaginare che lo scaffale di un supermercato o lo sviluppo di un edificio terminino prima o poi dopo l’inquadratura.
Il fiume potrebbe continuare praticamente verso l’infinito.
Attraverso l’elaborazione digitale sono stati rimossi degli edifici sulla sponda opposta del fiume.
Gursky utilizza i software per creare un ponte tra il vocabolario giovane della descrizione fotografica e quello antichissimo dell’invenzione pittorica, in tutta la sua varietà d’espressione.
L’imponente dimensione di Rhein ii (190 x 360 cm) permette una eccellente rappresentazione dei dettagli; la fruizione, dalla forma generale al particolare, avviene avvicinandosi progressivamente.
In questo lavoro come in tutti quelli più sorprendenti di Gursky, non c’è un significante particolare ma forme semplici che evocano un ordine universale a cui si conferisce carne attraverso i dettagli.
Tutto per suscitare nello spettatore un senso di connessione tra l’essere infinito e la creazione.
Conclusioni
Spero tu abbia trovato interessante la lettura di questo post e soprattutto spero di averti condotto verso un’interpretazione interessante delle fotografie di Andreas Gursky.
Come al solito è importante capire il background di un’artista per poterne iniziare a capire le opere. Vediamo in breve cosa abbiamo imparato ripercorrendo la vita di questo grande fotografo:
- è importante emanciparsi dagli aspetti commerciali per poter diventare un artista di valore (anche se questo può risultare molto difficile);
- la scuola di Düsseldorf ha rappresentato un luogo in cui poter coltivare la fotografia come stile di vita e non a caso ha formato alcuni dei più grandi fotografi contemporanei;
- è fondamentale assorbire gli insegnamenti dei propri insegnanti e mentori ma ad un certo punto è necessario segnare uno strappo e formare una propria estetica personale.
Cosa pensi adesso di quelli che dicono : “Questa la facevo anch’io?”
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